L’arrivo a Madrid è stato travagliato, come al solito; a causa dei lavori sulla linea 1 della metro il collegamento con la fermata Sol non è dei più agevoli; l’agognata meta è raggiunta comunque, verso le 20.00, quando in Italia comincia ad imbrunire di brutto e in Spagna ancora la luce del sole riscalda i cuori.
L’hostal è in centro che più centro non si può: Plaza de la Santa Cruz ovvero il giusto mezzo tra Plaza Mayor e Plaza Puerta del Sol, tuttavia tranquillissimo, probabilmente anche grazie alla stanza che guarda sull’orrendo cavedio interno.
La stanza è quella dei puffi, cui arrivo dopo due piani di scale strette strette adatte più a una torre medioevale che a un hostal; bagno ridottissimo, stanza piccola e aria condizionata che è in realtà un ventilatore appoggiato sopra una sedia; cassaforte a pagamento (ad ogni apertura si pappa un euro), insomma niente di entusiasmante ma anche questo non è un problema. La cosa più preoccupante era la temperatura dell’acqua fredda che credo fosse attorno ai 40 gradi; io, che ero assetato, dovevo far scorrere l’acqua dalla doccia per riuscire ad averla a temperatura ambiente (in quei giorni a Madrid c’erano 39 gradi) altrimenti usciva praticamente calda come il brodo.
La cosa buffa, poi, è che l’albergo si trova a fianco di un negozio che ha come insegna Isis; ovvio che il riferimento è alla dea egizia ma di questi tempi…
Gli effetti del Toradol, che ho poi scoperto essere la causa dei pesanti malesseri che ho patito, si fanno sentire per cui serata sottotono, ma l’obiettivo è a portata di mano.
Al mattino arrivo per tempo, cioè poco prima delle 10.00, orario di apertura; mi presento da vero ingenuo coglionazzo (come se non lo sapessi) all’ingresso di quel santuario della bellezza che è il Museo del Prado, pensando di poter entrare senza eccessive attese; evidentemente così non poteva essere perchè mi sono imbattuto in una lunga coda che seguiva le aiuole laterali al palazzo fino ad una distanza quantificabile in almeno un’ora di attesa.
In altri tempi mi sarei piantato lì come un piolo, in trepida attesa, ma la calura inclemente (TeleMadrid dirà che c’è stata una bolla di calore in quei giorni) ed un’arsura che mi perseguiterà quasi costantemente, mi consigliano di emigrare in cerca di altre occasioni.
Dopo breve riflessione, trovandomi vicino alla stazione di Porta Atocha e avendo letto che c’è una città vicina a Madrid che è stata dichiarata patrimonio dell’umanità, decido di andarci senza indugio.
Alcalà de Henares, ma questo a suo tempo.
Al ritorno ho tentato un nuovo approccio al Prado ma la gentile signorina che presidiava l’area mi ha spiegato che la “temporanea està agotada” ovvero che era meglio andare altrove.
Altrove a portata di mano lo trovo presso il Caixa Forum molto famoso anche per la parete laterale tutta verdeggiante di quelle che stanno venendo di moda come giardini verticali; è un corso un’esposizione temporanea, fino al 23 ottobre prossimo, intitolata “Impresionistas y Modernos”, obras maestras de la Phillps Collection.
La nota de prensa della Caixa così presenta l’evento: «Un pequeño museo íntimo combinado con un centro de experimentación.» Duncan Phillips (1886-1966) definía así en 1926 el que fue el primer museo dedicado al arte moderno en Estados Unidos, inaugurado en 1921 en la ciudad norteamericana de Washington. […] una selección excepcional de 60 pinturas a cargo de 44 artistas esenciales de los dos últimos siglos: Picasso, Manet, Monet, Degas, Van Gogh, Cézanne, Courbet, Matisse, Modigliani, Braque, Pollock, O’Keeffe y Rothko, entre otros. La suma de estas obras maestras da como resultado una muestra que nos permite viajar a través de algunos de los principales movimientos que se fueron desarrollando desde el siglo XIX y hasta la segunda mitad del siglo XX, desde el realismo y el romanticismo hasta el expresionismo abstracto, pasando por el impresionismo o el cubismo. También nos permite conocer la historia de esta colección y de su impulsor, Duncan Phillips, un pionero, un apasionado del arte de su tiempo que, confiando en su instinto para detectar el talento, supo reunir una colección de prestigio mundial.
Ovviamente non male come esposizione ma niente di che; devo ammettere che trovare qualcosa di fuori dell’ordinario in una città come Madrid che ospita musei tipo il Prado, il Thyssen Bornemisza o il Reina Sofia è impresa ardua.
Nello specifico c’erano anche dei video, uno me lo sono anche sorbito, che sono la dimostrazione di come l’artista sia spesso e volentieri un perverso che “vende” la propria miseria spacciandola per “arte”.
La cosiddetta creazione artistica deve essere sottoposta a giudizio non meno che ogni altra manifestazione del pensiero; come diceva san Paolo “omnia probate…”.
Ben eccitato da questa mostra e trovandomi non distante da un museo che visitai tempo addietro, ho deciso di rifarci un salto ed allora che Thyssen Bornemisza sia.
Uscito da quel luogo magico, ho pensato bene che si avvicinava il giorno festivo con la santa Messa di precetto; mentre pensavo di recarmi presso la parrocchia a due passi da casa mia dove la celebrazione era prevista per un’ora per me innaturale, le 20.00, ho trovato una chiesa, la Iglesia de las Calatravas, dove un giovane e ispirato sacerdote ha celebrato alla stratosferica velocità di 32 minuti, predica compresa: avrei voluto adottarlo per la mia parrocchia.
Cena in un ristorante vicino all’albergo, a base di carne e patatine, con birra, passeggiata in centro per digerire ed il primo giorno si conclude con la sete che mi perseguita ed il caldo asfissiante oltre a una sensazione di disagio diffusa, ma niente male al collo, ovviamente se lo muovo lentamente.