Sabato pomeriggio mi è accaduto di conoscere un personaggio “importante” di cui non farò il nome per motivi di correttezza.
Di quest’uomo mi è stato detto che è molto permaloso ed arrogante; della seconda “qualità” ho fatto esperienza anch’io ma non è questo che importa, ho già trattato spesso della prepotenza che origina dall’impotenza.
La politica italiana straborda di siffatti esempi e la vittoria dei grillini ne è ulteriore certificazione.
Qui dovrei aprire una parentesi dovuta alla scoperta, in rete, di una presunta gaffe fatta da una candidata grillina del riminese, un’aspirante senatrice, già dipendente comunale e che ho avuto la disgrazia di avere come superiore.
Correva l’anno … ed io venni trasferito alle sue dipendenze come incaricato di collaborare all’ufficio studi e formazione, incarico che presi con tanto entusiasmo.
Durò poco.
Innanzitutto, agli inizi, venni lasciato fuori dalla porta dell’ufficio, chiuso a chiave e con la titolare assente per malattia; non volendo rubare lo stipendio mi ero messo a lavorare in corridoio, seduto su una sedia riservata al pubblico, con un pc portatile. Il mio ex responsabile, impietosito, mi ospitò nel suo ufficio (che era stato anche il mio fino a pochi giorni prima).
Poi tornò la responsabile e qui venne il bello perché la mia universalmente riconosciuta professionalità trovò, finalmente, pieno riconoscimento e valorizzazione: il primo compito, davvero impegnativo, fu di preparare una lettera che avrebbe poi firmato la mia superiore. Poche righe, se non ricordo male non più di 4, burocratiche, ma non prive di insidie visto che mi vennero corrette non ricordo quante volte.
Uscito vivo da questa erculea fatica, per quanto distrutto nella mia presuntuosa convinzione di essere capace di scrivere in un italiano mediamente corretto, mi ritrovai il secondo compito, da far tremare le vene e i polsi: predisporre l’elenco telefonico interno, in formato excel.
Affrontai anche quella sfida, ne uscii vincitore, ma mantenni un basso profilo per non alimentare il mio smisurato egocentrismo. Affrontai anche quella sfida, ne uscii vincitore, ma mantenni un basso profilo per non alimentare il mio smisurato egocentrismo.
Dopo tali esperienze il comandante comprese che l’ufficio studi e formazione era troppo poco per il mio ego ipertrofico che strabordava per ogni dove e mi rispedì, temporaneamente, per l’estate mi disse, donde ero venuto.
Fu un’esperienza altamente educativa.
Non lasciai, poi, l’ufficio di polizia amministrativa fino a quando non ebbi la sciagurata idea di fare il concorso a Modena.
Ex bono bonum, ex malo sequitur quodolibet.
Se bene ho scelto non so dire, quel che è certo posso dirlo: avevo un responsabile che è stato, tacendo l’aspetto umano (che meriterebbe un capitolo a parte), un autentico professionista come ne ho incontrati pochi: chi mi conosce sa che sto parlando di Umberto Farina, uno che avrebbe meritato ben altra carriera e riconoscimenti ma che li riceve dai suoi collaboratori ogni giorno e tanto basta.
Un altro collega e amico che mi è stato favorevole nel lavoro e nella vita è il modenese Andrea Piselli, ne taccio molti altri che ricordo attraverso queste due figure esemplari.
Ma torniamo all’oggi: a questo personaggio, sabato pomeriggio, ho rivolto alcune considerazioni non apprezzate (com’era ovvio), ho detto il vero.
Ne ho guadagnato svariate manifestazioni di condivisione e apprezzamento ma, ripensandoci, mi rendo conto di avere commesso un errore, un grave errore.
Mi torna in mente la questione di Re Lear e del relativo suo Buffone, ma anche di Amleto e Macbeth.
La questione della verità, della verità inefficace.
Ne ho già parlato in un post dello scorso anno, di cui cito una frase: “Una verità non giuridica non produce altro che opposizione, per questo la verità scientifica è inutile ai fini della guarigione.”
Dire la verità è un atto di imputazione ed offrire una materia prima di cui l’altro può approfittare: “può” vuol dire facoltà, non obbligo.
Mi viene in mente Shakespeare: la verità, conosciuta da Amleto, per rivelazione dello spettro paterno, si riduce a vendetta, tanto che serve un “uomo nuovo” che rifondi il regno, spazzando via l’aura mortifera che opprimeva la Danimarca.
In Macbeth ci sono la dama di compagnia ed il medico che si trovano ad assistere alle “esternazioni” di Lady Macbeth: anche in questo caso la conoscenza della verità non serve a nulla perché la regina si uccide, punendo sé stessa per il crimine commesso.
Timone d’Atene è un’altra opera in cui la verità ha un ruolo fondamentale: Timone è incapace di distinguere tra gli adulatori profittatori e gli amici, così che la sua prodigalità lo condanna: Timone, incapace di fissare veri appuntamenti si benda gli occhi pur di non vedere e chiude le orecchie per non sentire; la verità non gli interessa e la conclusione è la distruzione della civiltà, con l’abbandono del consesso umano.
In Pericle principe di Tiro la verità è congegnata in modo tale da esporre a morte chi abbia l’ardire di scoprirla.
Chiudo col Riccardo III, con una citazione famosissima: “Oh, meraviglia, quando i diavoli sono veritieri!”; in quest’opera la verità viene utilizzata come strumento di potere, vi è imputazione ma questa non è fatta propria ai fini della correzione, quanto piuttosto utilizzata dialetticamente per sottomettere l’altro.
Dunque è del tutto inutile dire la verità, se non all’interno del regime dell’appuntamento, dove l’altro ha interesse ad essere imputato della produzione di materia prima utilizzabile, del beneficio prodotto.
Fuori dall’appuntamento la verità diventa strumento di dominio e qui mi torna in mente Tiresia che svela la verità ad Edipo, così come lo psicologo la spiega al suo paziente o comunque si pone in rapporto con lui in una modalità educativa secondo l’idea che c’è chi sa e chi deve essere guidato.
Introduce l’idea del possesso della famosa “marcia in più” che è quell’oscuro e oscurantista meccanismo che appartiene non si sa bene a chi né in virtù di cosa e che farebbe funzionare le cose. E che tiene il posto del regime dell’appuntamento.
Platone docet mentre Shakespeare non era, fortunatamente, suo amico.
Nel frattempo ieri, 13 marzo, è fiorito il primo narciso dell’anno.
I narcisi sono diventati, nel tempo, tra i fiori da me più amati; essi rallegrano il mio giardino come un sovrappiù, un qualcosa che potrebbe anche non esserci, ma la cui presenza rende l’ambiente più gradevole. Cioè più abitabile.
Parma, 14 marzo 2018 memoria di Santa Matilde di Germania, Regina
Ps: ne approfitto per un paio di auguri; di buon onomastico alla figlia, splendida, di una coppia di amici straordinari e di buon compleanno al mitico Cristian