La piante grasse, che stamattina, ho solo intravisto, sembravano oggi come non mai un concerto di fiori: grandi campane bianche e rosate inneggiavano alla bellezza ed alla vacuità; vanitas vanitatum et omnia vanitas; qualche campana di piccolo taglio, arancio brillante, interrompeva la percentuale bulgara dei fiori di grandi dimensioni.
Tornando stasera non ne ho ritrovato uno aperto, tutto è sfiorito, soffocato dal sole cocente che atterra e suscita così strampalate creature.
Domani sarà il gran giorno, un primo responso fondamentale: lo vivo tranquillamente, senza timori, quasi sconsiderato.
Nel frattempo so che nell’orto il melone matura, si preparano, dopo lungo patire, i pomodori, ed anche il mio ormai amico rospetto, che coi suoi salti improvvisi mi suscita sempre un po’ di apprensione (compare sempre quando non ho strumenti per fotografarlo e subito si dilegua) ormai si sente di casa, protetto dalla mia tolleranza e dalla frescura che regna sotto le foglie di radicchio.
Brandelli di una quotidianità cui tengo e che mi aiutano a superare le apprensioni.
I saluti telefonici di Silvia e Daniela, le cui inevitabili disavventure vacanziere documenterò in altro momento mi sono stati di conforto.
La malinconia del fiore che brucia la propria bellezza in un istante non è l’orizzonte ultimo in cui mi muovo, anche se è una delle tante tentazioni: la dolente contemplazione di tanti poeti è un possibile approdo.