Tempo fa, grazie alla sollecitazione di una persona che molto stimo, ho pensato di concedermi, saltuariamente, la lettura del giornale, di un quotidiano; normalmente il Corriere della Sera, mai di quotidiani locali.
Mi rifiuto alla stampa locale perchè vi ritrovo, nel provincialismo ottuso e banalizzante, le piccole e meschine guerre tra fazioni che si combattono tra pollai: manca una dimensione di più ampio respiro che permetta di inserire le scaramucce cittadine o di quartiere in un orizzonte più ampio riducendole a quel che sono in realtà: corbellerie.
In questi giorni ho letto, mio malgrado, alcuni articoli che hanno confermato la mia antipatia: vi ho ritrovato frasi citate estrapolate completamente dal loro contesto, informazioni filtrate in maniera da suggerire sconvolgenti avvenimenti e choccanti illegalità.
Molti di quelli che hanno scorso quelle righe assieme a me, erano presi dall’impulso di rispondere, di chiarire, di solidarizzare con chi era messo in cattiva luce: non ho condiviso perchè ritengo inutile entrare in polemica con chi detiene uno strumento di cui ha il totale controllo e perchè la polemica, come dice l’etimologia, ha a che fare con la guerra e la guerra non è altro che una forma del rapporto con l’altro.
Alternativa valida mi sembra prendibile dall’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede (c’è chi da anni parla dell’Io come di San(t)a Sede e lo ringrazio per questo) che ha come motti “unicuique suum” ed io aggiungerei “ius” e ” non praevalebunt”: a ciascuno il suo diritto, cioè ad ogni persona è in capo la facoltà di porre i rapporti con tutti gli altri, nel bene e nel male; da qui ne deriva una giurisprudenza che non è esclusiva dei magistrati togati ma non per questo meno giuridica e cogente: ne verranno sanzioni di vario tipo fino al non voler avere nulla a che fare con una persona (scuotete la polvere dai vostri calzari, credo sia una mirabile sintesi).
A ognuno ricordare questa facoltà di giudizio che, a somiglianza dei giudici togati, non può essere non esercitata (il giudice non può denegare giustizia) e che, alla fine del giudizio comporta una sanzione – penale o premiale – ed una chiusura del processo: il magistrato che scrive una sentenza, una volta depositata, chiude la causa e non ci pensa più.
Ciascuno, quindi, anche i giornalisti, i colleghi, i lettori possono dedicare il loro tempo a guerreggiare (polemizzare) o dedicarsi ad altro, magari più proficuo: a ciascuno il suo appunto, anche come sanzione – un buon giornale avrà nuovi lettori ed aumenterà le vendite, senza necessità di puntare sulle polemiche, cioè sulle guerre.
Resta il “non praevalebunt”: chi non prevarrà? non è questione di vincitori e vinti, quel che prevarrà è comunque il pensiero giuridico che sebbene maltrattato, malridotto, negato e combattuto, rimane il fondamento dal quale non si può prescindere (si dice che il diavolo non è creatore ma solo deformatore del creato); è dal pensiero sano che si parte e i suoi maltrattamenti si pagano a caro prezzo.
Nella guerra non c’è pensiero sano perchè l’altro da distruggere, o comunque da vincere, ben potrebbe diventare, invece, partner in affari o, in caso che sia un irriducibile, da lasciare al suo cammino (dimitte mortuos sepelire mortuos suos); al contrario nello scontro ci si fissa alle modalità di rapporto imposte da altri e ci si impoverisce.
Vero è che oggi è di gran moda la guerra ma la moda è un pensiero di massa e per la massa.
Ad altro io sono interessato.
Dixit ergo Iesus ad Duodecim: “ Numquid et vos vultis abire? ”. Respondit ei Simon Petrus: “ Domine, ad quem ibimus? Verba vitae aeternae habes.