Una cosa mi turba…

In questi giorni, in ufficio, sono accaduti alcuni spiacevoli eventi che hanno incancrenito l’atmosfera già deteriorata da tempo. Non parlerò di questo ma del fatto che mi sono accorto di come si corra spessissimo un rischio molto pericoloso poichè subdolo: il piantarsi a parlare e riparlare di ciò che non funziona, senza avere alcun interesse a cambiare ciò che è cambiabile o, comunque, a trarre il maggior profitto possibile anche da situazioni che non siano modificabili.

A questo consegue, spesso e volentieri, il prendere o dover prendere posizione che, inevitabilmente, viene interpretato il mettersi in partiti o fazioni: se sei amico di Tizio allora sei nemico di Sempronio ecc ecc. Le fazioni sono un maso chiuso del pensiero.

Non c’è pensiero di ricchezza nè novità possibile: il pubblico impiego temo abbia insito nel proprio Dna questo pericolo: spartizione feroce della torta, invidia e miseria per tutti.

Sto cercando una soluzione pacifica cioè che non alimenti ulteriormente gli scontri.

Fino ad ora mi sono difeso con l’ironia (a essere onesti sarcasmo) ma non è efficace: mi viene sempre in mente che in Shakespeare il buffone dice la verità ma questo non lo protegge dal fare una brutta fine assieme al suo signore che non ne fa una migliore. Dire la verità non serve.

La soluzione potrebbe essere quella di lasciar perdere, mi torna in mente Amleto:

se sia più nobil animo
sopportar le fiondate e le frecciate
d’una sorte oltraggiosa,
o armarsi contro un mare di sciagure,
e contrastandole finir con esse”.

Sappiamo com’è finito il principe, poco principe, di Danimarca e tuttavia è una figura fascinosa, come il Maelstrom…

vado a dormirci sopra, chissà che non mi venga qualche buona idea.

Un’idea è questa: un giudice, ma anche un avvocato, esco fuori tema, ma stasera Shakespeare mi ispira proprio quando in Enrico VI:

“DICK: E la prima cosa che faremo sarà di ammazzare tutti gli avvocati.

CADE: Sì; questo lo voglio proprio fare. Non è una maledetta cosa che dalla pelle di un agnello innocente si faccia cartapecora? che la cartapecora con quattro sgorbi sopra sia la rovina di un uomo? C’è chi dice che l’ape punge; ma io dico che è la cera dell’ape che punge, perché avendo messo una volta il sigillo a un documento non sono mai più stato padrone di me stesso.”

Divagavo, appunto: un buon giudice, dicevo o un buon avvocato, una volta che ha concluso una causa (con la sentenza, per semplificare, ma possiamo arrivare anche alle motivazioni) la archivia, cioè la chiude e pensa ad altro; se così non facesse non sarebbe un buon magistrato perchè una causa non conclusa si trascina nel tempo e produce danni anche solo e proprio perchè inconclusa e inconcludente.

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