Non sono superstizioso, quindi non considero il venerdì un giorno diverso dagli altri, ma questo venerdì 19 luglio qualcosina di storto ce l’ha riservato.
Alle 14.45 circa, assieme ad un paio di pattuglie, mi trovo a suonare alla porta di un signore che avevo già conosciuto in passato; il signore evidentemente non era ben disposto all’accoglienza e mi ha aperto con un coltellaccio in mano.
Non parlerò più di tanto dell’episodio perché sono tenuto al segreto e perché se ne sono occupati i giornali, quindi mi astengo perché non voglio cedere alla tentazione di dire quel che penso della carta stampata e non solo.
Di certo mi ricorderò per un bel pezzo tutta la drammatica faccenda e ricorderò anche la sensazione che ho provato, di essere arrivato al capolinea: proprio questo ho avvertito distintamente, che avrei potuto ricevere una coltellata e morire su quello squallido pianerottolo o su uno dei vari marciapiedi che ho percorso seguendo l’uomo.
Ho pensato che avrei potuto perdere un collega o, in strada, che avrei potuto assistere ad eventi che mai avrei voluto.
Ho pensato che avrei potuto o dovuto sparare o dare l’ordine di sparare, con tutte le conseguenze drammatiche del caso.
Ho pensato a mille cose, nessuna positiva.
Ho pensato, quando tutto si è concluso senza danni, che dovevo andare a Fontanellato ed accendere una candela (l’ho fatto oggi, domenica, dopo la Messa pomeridiana delle 16.30) per grazia ricevuta; una sola candela cumulativa perché se ne avessi accesa una per ogni catastrofe evitata … ci sarebbe il sagrato coperto di lumini.
Ho pensato che i corsi di formazione che ho fatto sono stati del tutto inutili ed io non da meno, vecchio, stanco, grosso, impacciato, inutile.
Ho pensato che non è più il caso di fare questo lavoro che mi sembra del tutto inutile perché non riesco a trovarci un aspetto positivo (a dispetto di chi riesce a convincermi, ogni tanto, del contrario).
Ho pensato ai fiori che coltivo, all’orto, alle opere d’arte che tanto apprezzo e all’impossibilità di concepire l’uso della forza, per quanto legittima.
Tutto è andato bene, senza alcun merito mio.
Debbo, invece, ringraziare pubblicamente, un collega che si è dimostrato per quello che sapevo già essere: serio, responsabile, collaborativo, intraprendente, prudente ma audace, un ragazzo che si è dimostrato di valore, come non dubitavo.
Parlo di Puffo Vanitoso, come l’ho soprannominato, un uomo che ha qualità rare e preziose: a lui va la mia stima ed il ringraziamento per l’importante e misconosciuto ruolo che ha avuto.
Ha svolto il lavoro più rischioso senza esitare un istante, senza discussioni e polemiche; tralascio ora i suoi difetti, che non posso svelare per motivi di privacy, per dire che anche con quelli resta uno degli uomini che vorrei avere quotidianamente come compagno di pattuglia.
Grazie anche a tutti gli altri che hanno dato una mano, ciascuno a suo modo è stato prezioso.
Chiudo con una citazione, una poesia di Ungaretti che ho già citato altre volte ma che, come un fiume carsico, ogni tanto riaffiora alla memoria seguendo chissà mai quali connessioni.
Il titolo è “Non gridate più”
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
DI questa poesia ricordo l’immagine dell’erba che cresce, “lieta dove non passa l’uomo”, è un verso che mi piace tantissimo, senza un perché, ma mi sembra degna conclusione di una vicenda che non dimenticherò.
Curiosa la coincidenza, è stata scritta a seguito della notizia del bombardamento del cimitero del Verano, in Roma, il 19 luglio 1945.
Tornato a casa, sabato pomeriggio, dopo l’udienza in tribunale, ho provato a spiegare a mia mamma quanto mi era successo: sono stato cazziato perché non ho chiamato una tal signora per adottare un gattino, poi messo a pulire casa, lavare i pavimenti, spostare mobili, tutto mentre la giornata torrida invitava a ben altro.
Beata granitica concretezza delle donne di un tempo.
Parma, 21 luglio 2019 domenica XVI del Tempo Ordinario e memoria di Sant’ Alberico Crescitelli, missionario e martire, del Beato Gabriele Pergaud, canonico regolare e martire e di Santa Prassede di Roma, vergine e martire