Il sogno, nella notte tra il 25 e 26 aprile scorsi era sicuramente più elaborato ma il resto è sfuggito al ricordo; solo un’immagine tragica mi è rimasta ed eccola:
c’è una lunga strisciata, bianca, sull’asfalto, in via Gramsci, nei pressi del vecchio ingresso dell’Ospedale Maggiore, che parte da destra (ho le spalle girate a piazzale Santa Croce) e taglia diagonalmente la strada per finire quasi sul marciapiedi di fronte all’ospedale. Qui c’è una moto, a terra, ed un collega sdraiato, in fin di vita; qualcuno forse gli regge il torace e il capo mentre sembra che stia morendo.”
Questo frammento mi evoca un paio di scene: quella di un soldato americano, sudista?, morente, dopo una battaglia ed anche una Pietà sebbene la posizione del collega non sia consueta almeno nei compianti che ho visto io.
Quella posizione mi ricorda, inoltre, l’accostamento sarebbe blasfemo se non fosse frutto di una libera associazione, le fotografie di un personaggio vagamente sopra le righe come David La Chapelle.
Un fotografo che ho scoperto, casualmente, alcuni anni fa e che mi colpì per l’esasperazione dei colori, l’eccesso di decorazione, insomma per le immagini che definirei una versione contemporanea del barocco.
Realtà “accentuata”, esagerata, la stessa che ritrovo, in modo diversissimo, nelle opere liriche che tanto amo: Trovatore e Rigoletto o nelle opere teatrali dove la voce è enfatizzata.
Non ho ancora compreso il perchè di un tale fascino dell’eccesso così come la predilezione per le opere di architettura e scultura del barocco (la pittura non sempre mi piace) ma anche del rinascimento, con quei colori vivacissimi, gli spazi riempiti di colore e figure.
Horror vacui direbbe qualcuno, un vuoto (incolmabile) da riempire e il rimando al famoso presidente Schreber è inevitabile, ma tutto questo dove mi porta?
La Chapelle, il teatro e il barocco sono uniti da un tratto comune: il palco, anzi le quinte, cioè l’idea di un palcoscenico sul quale si recita, di fronte al mondo intero, il gran teatro del mondo per richiamare Calderon de la Barca.
Davvero c’è di fondo un’idea di riempimento che spero porti qualche frutto nel tempo.
Non manca nemmeno l’idea che ciò che è così teatrale, esacerbato, esasperato sia nel contempo falso e che, quindi, il sogno rappresenti una falsa tragedia.
Parma, 26 aprile memoria dei Beati Stanislaw Kubista e compagni e Giulio (Julio) Junyer Padern, martiri