Il 31 dicembre sarà un anno che ho ottenuto la mobilità a Parma; questa ricorrenza impone un bilancio visto che ritenevo questo trasferimento come l’ultimo della mia travagliata carriera.
Le motivazioni che erano alla base della mia richiesta erano semplici e sintetizzabili in una: la necessità di avvicinarmi a casa per avere maggiore possibilità di dare una mano a mia mamma.
Posso permettermi di andare al lavoro in 7 minuti, il che significa che, in caso di bisogno, ho possibilità di arrivare a casa in breve tempo e questo è fondamentale, quindi, da questo punto di vista, la scelta è stata positiva.
Questo è l’unico aspetto positivo; a dire il vero c’è anche l’aspetto economico: il ben più breve tragitto comporta un minore esborso di denaro per minor consumo di carburante. Guadagno di più per la diminuzione delle spese oltre al fatto che le nebbie di questo tempo non sono piùpreoccupanti perchè la distanza dal lavoro è davvero di molto minore.
Professionalmente devo dire che sono capitato nel migliore comando che uno possa desiderare, quindi nessun rilievo critico ho da muovere all’organizzazione; le critiche, anche se è ingiusto chiamarle così, sono da imputare soltanto alla mia persona.
Un primo raffronto riguarda le mansioni: in Bassa Reggiana mi dedicavo all’ufficio contenzioso, cioè preparavo i fascicoli dei ricorsi, partendo dal recupero dell’atto, alla preparazione del fascicolo per il giudice di pace, alla discussione in udienza: un lavoro che mi soddisfaceva.
Attualmente mi occupo di territoriale, centro storico, in condivisione con altri colleghi, ruolo che non mi piace per niente, anzi meno, di nessuna soddisfazione ed anzi fonte di angoscia.
Se in Bassa Reggiana la distanza era un grosso problema, il clima umano, lasciate da parte alcune persone ai limiti dell’insopportabilità (nel senso che il limite era stato assolutamente superato), non era male: dal Telegattone a Stefania, Serena, Marco, Luca solo per citarne alcuni, ho lavorato con persone squisite (anche a Gualtieri, Luzzara, Reggiolo).
A Parma, salvo pochissime eccezioni, non sono riuscito a costruire rapporti significativi e questo è quello che più mi intristisce.
Non sono riusciuto ad entrare in sintonia con i colleghi; mi avverto come un estraneo di passaggio, tanto da non essere riuscito ad assumere quel ruolo che mi competerebbe.
Ammetto il grosso limite di non riuscire a dare il meglio di me in ambienti in cui non mi trovo bene umanamente; mi è sempre successo, lo avverto come un limite ma, al momento, non sono ancora riuscito a superarlo.
Vivo, anzi sopravvivo professionalmente, pensando a ricercare soluzioni alternative: l’uniforme non è più che un peso che mi schiaccia.
Spero, ma è uno sperare nevrotico, temo non mi condurrà a nulla, di cambiare aria; nel frattempo mi sento braccato, ingabbiato, senza possibilità di muovermi, senza alternative.
Non sarà il nuovo anno, pura illusione di una scansione temporale fittizia, a portare delle novità; queste sono possibili solo a seguito di lavoro proprio (che sto facendo) ed eventuali apporti di lavoro altrui (di cui non vedo tracce, al momento).
Parma, 31 dicembre 2018 memoria di san Silvestro I papa e Santa Caterina Labouré