Domenica, fine mese di maggio, anticipo del mese di giugno, il più bello dell’anno; con Silvia e Gabriele andiamo a Vicenza incuriositi da una mostra che promette molto.
L’inizio non è dei più felici, il mio senso dell’orientamento colpisce ancora ma arriviamo alla meta, anche se parcheggiamo a debita, eccessiva distanza.
La giornata è bella, il clima buono ed è piacevole camminare per le vie del centro; la piazza su cui si affaccia la Basilica Palladiana è bellissima, la basilica stessa è un capolavoro, la via centrale non lo è da meno.
Ci mettiamo in fila per entrare, c’è un po’ di coda da fare, ma niente di insopportabile; all’interno troviamo ben esposti e ben illuminati una serie di capolavori che, in molti casi, già da soli avrebbero meritato il viaggio.
Complimenti ai curatori della mostra, che hanno saputo esporre le opere in modo fruibile come non sempre accade; il tema, a dire il vero, mi sembra del tutto pretestuoso, cioè alquanto inutile, nell’economia dell’esposizione, ma questo conta poco.
Inizio con un ritratto funerario di un romano morto in Egitto; di questi volti ne ho visti svariati a Berlino e tutti li ho trovati straordinari nel loro realismo e nella dolcezza che li distingue.
Poi le statue egizie, sempre gradevoli, ma il boccone prelibato ancora si fa desiderare; lo incontrerò nei dipinti di Caravaggio: dal già visto e famosissimo Narciso allo sconosciuto, per me Marta e Maddalena.
Grande emozione, sempre, cui si sommano, in un virtuoso rincorrersi di corrispondenze emotive, le opere di Bacon, maestro insuperato del Novecento, nella rappresentazione dell’angoscia.
Le opere di Munch e Bacon sono la rappresentazione dell’angoscia che, con certa frequenza, accompagna il mio cammino.
Da un bel Giorgione a Rembrandt e Piranesi, a Friedrich, Veronese a Palma il Vecchio, da Tintoretto a El Greco, da Savoldo a Bassano, da Caravaggio a Zurbarán, da Guercino a Carracci.
Opere davvero splendide.
Mi ha colpito, in particolare, l’Estasi di san Francesco, di Caravaggio, ambigua eppure splendida: il santo è, in realtà, quasi l’autoritratto del pittore, che sembra dialogare in un’estasi amorosa con l’angelo che lo sorregge.
Caravaggio aveva idee assai chiare su Gesù Cristo, che ha saputo rappresentare con un realismo commovente eppure quel Gesù così vivo da potergli mettere il dito nelle piaghe è stato via via emarginato dai fantasmi che hanno gradualmente ottenebrato il suo pensiero; abbiamo così le tentazioni mistiche che si uniscono alla sensualità più languida in una miscela che produrrà un’angoscia micidiale.
Chiudo con van Gogh, bellissimo come sempre e divenuto, ormai, icona pop, come Caravaggio; icone pop ovvero la caduta del pensiero (di chi contempla).
Terminata la mostra, ci concediamo, ad un orario assurdo, una pausa ristoratrice che prevede, nel mio caso, un ottimo, ma proprio ottimo, baccalà alla vicentina con polenta; un baccalà trasformato in crema delicata, con fette di polenta croccante, una vera delizia.
Riprende la visita con una significativa tappa alla chiesa di santa Corona, che custodisce opere bellissime come il Battesimo di Gesù di Giovanni Bellini e L’adorazione dei Magi di Paolo Veronese; la cosa che calamita la mia attenzione, però, è l’altare maggiore opera dei fiorentini Corbarelli.
Ultima tappa, ma ci arriviamo in ritardo, era il teatro Olimpico, che scopriamo chiudere alle 17.00 orario assurdo in estate purtroppo); mi consolo pensando che dovrò tornare in una città così bella.
Il centro l’ho trovato ordinato, pochi i venditori abusivi ed i mendicanti a dispetto dei numerosi turisti; pulizia dappertutto, insomma l’impressione di una città ben amministrata, di quelle dove non si perde tempo con inutili polemiche.