Mi trovo, credo, in quel di Bologna, forse perchè il luogo non è certo, anzi è confuso quasi fosse fuori da una coordinata geografica precisa.
Devo sostenere l’esame di maturità, credo classica, sebbene mi sembri di essere in un’aula universitaria di quelle ad emiciclo; al centro la commissione sta esaminando o ha già esaminato e discute della prova di Sabrina (una mia antica compagna di scuola delle elementari), che non è andata come sperava.
Non ricordo con chi mi metto a parlare di me, forse col presidente della commissione, fatto sta che dico: “ho preso 57 alla precedente maturità, ho 110 e lode di laurea, vorrei completare la cosa con 60, in questa occasione” (son vecchio, io uso ancora i sessantesimi).
Credo sia prevista una pausa per il pranzo; mi trovo nella mia stanza (in un college?), forse si avvicina l’orario in cui toccherà a me discutere, anzi essere interrogato; questa parte è confusa… credo di avere superato l’esame e di vedere, da qualche parte, un 60/60.
Mi trovo in un viale, molto ampio, di una città europea e sovietica al contempo: rifletto sul fatto che ho già visto tutto ma, avevo tralasciato (o mi resta) una parte che potrei visitare adesso; cammino in questo viale poi entro in un enorme palazzo, assolutamente sovietico come stile, con scritte a caratteri cubitali.
Dovrebbe essere un museo (anche in sogno non manca mai il caro buon museo); incontro quella che ritengo la biglietteria e scopro che la domenica è chiuso; mi ritrovo a riflettere sul fatto che sebbene chiuso, si possa entrare ed all’interno si possa leggere una scritta a diodi rossi che informa degli orari e della chiusura (che se poi sono in russo come farò mai a leggere? mah, potenza del sogno).
Adesso mi ritrovo a Rimini; potrebbero esserci dei lavori in corso in una strada assai grande, poi da una corriera scendono bambini che entrano in un locale, a mangiare, credo. Parlo con qualcuno della chiusura? forse qualche collega che non conosco.
Muore mio nonno Angiolino; considero che sia stata una cosa buona perchè così ha finito di soffrire; in questo frangente non piango anche se sono addolorato; penso che col nonno non ho mai avuto una discussione nè un contrasto.
La camera mortuaria o la chiesa è in un complesso edilizio dove si trova, a fianco, anche l’ingresso di un ufficio della polizia municipale, al cui interno riconosco qualche collega, come Piero, mentre altri mi sono ignoti.
Forse cerco di evitare di entrarvi per non dover fornire spiegazioni, tuttavia sento da lontano la voce di Belletti (l’eminenza “rossa” del comando quando ci lavoravo io) che mi dice di prendergli qualcosa in un cassetto o armadio o scaffale di un ufficio a fianco; non ricordo la mia risposta.
Parlo al telefono con l’addetto alle pompe funebri che mi dice: “ci vorrà un po’ di tempo; visto quello di cui è morto dovrà fare un salto di almeno 10 minuti in radiologia”.
Sono in auto con qualcuno, forse anche con la zia Luciana e lì mi viene da piangere a dirotto anche se cerco di trattenermi; fino ad ora c’ero riuscito ma adesso faccio fatica.
Poi sono davanti all’ingresso dell’edificio di prima (chiesa/comando) quando vedo arrivare una sorta di corteo funebre con la bara del nonno; mi avvicino ed entro in chiesa, dando un’occhiata, prima, all’ufficio, cercando di trattenere le lacrime come se non volessi far sapere ai colleghi di questo lutto, anche se vedono in che condizioni sono.
Dentro non so perchè mi piego e sento che i pantaloni, di tessuto marrone (colore che notoriamente io amo poco), forse di lana, sono strappati sul fondoschiena, non scuciti, ma proprio laceri con un buco largo ed ampio; mi preoccupo della figuraccia, ma rimettendomi dritto mi tocco dietro per verificare se il buco si vede e scopro, con un certo sollievo, che la giacca lo copre.
Nell’entrare in chiesa mia zia mi chiede se ho parlato con Liliana (mia cugina), forse dei fiori, io credo di rispondere di no; il feretro intanto si dirige verso il centro ed io piango senza riuscire a trattenermi.
Questo è quanto ho sognato stanotte, 22 ottobre, dopo avere terminato la lettura del libro di Francesco Gallina “De perfectione” e avere amabilmente chiacchierato con Umberto al telefono (come di sera non mi accade mai).