Stanotte, tra l’11 e il 12 di marzo, ho sognato, cosa che ritengo sempre piacevole e che non mi capita con la frequenza che vorrei.
Mi trovavo sulle scale esterne di un palazzo medioevale, ma forse non originale; sono sulla parte bassa e guardando verso l’alto scorgo una vetrata, colorata, con figure umane; a poca distanza da me due donne commentano, una delle due dice qualcosa del tipo: “mi piace, a casa poi dipingo i narcisi”.
Dall’alto mi rivolge la parola un vecchio compagno di scuola di elementari e medie, forse Massimo R., dicendomi: “Federico è qui, è con te, ma mi ha detto di dirti di non andare al suo garage, non ce n’è bisogno”.
Questo è quanto ricordo.
La vetrata mi ricorda il salottino dantesco del Museo Poldi Pezzoli di Milano, il palazzo mi ricorda Rimini ma la cosa importante è la presenza di Federico: oggi sono 4 mesi dalla sua scomparsa e proprio ieri sera ci avevo pensato per un momento.
Sono volati questi mesi e, piano piano, ho smesso di aspettarmi la telefonata che arrivava o che effettuavo io; ho poi cambiato telefono ed in questo non ho più i contatti sulla schermata iniziale ed anche questo ha contribuito a togliere l’abitudine.
In realtà in questi giorni di epidemia ho pensato spesso che Federico sarebbe stato preziosissimo, col suo equilibrio, preparazione e dedizione al lavoro: una straordinaria ricchezza per l’ospedale e per gli amici, tanti che avrebbero rotto le scatole, come al solito.
Il suo giudizio mi manca.
L’aspetto negativo, invece, è che anche lui, per via delle sue competenze, sarebbe stato una delle tante vittime del pensiero fisso: non si parla d’altro che di un virus: unanimità mortifera?
Non ne sono esente, ma non mi piace
Parma, 12 marzo 2020 memoria di san Luigi Orione