Sogno nella notte tra il 26 e 27 agosto 2019.
Sono all’esame di maturità, c’è la Lanzoni in commissione e mia vicina di banco è Puffetta (che è una mia deliziosa collega).
Arriva un tizio che ci dà un foglio ed il docente spiega che sono i test; in una pagina ci sono delle domande (una chiede quanto [resta in piedi, così ho scritto appena sveglio, ma non sono sicuro] di una chiesa dopo un terremoto, le alternative sono 90% 95% e una terza che non ricordo): scelgo il 95%.
Forse mi consulto con Puffetta per la domanda numero sei; passa una commissaria che forse mi suggerisce qualcosa; gira pagina e ci sono delle foto (fatte male), alcune un po’ sghembe; io e Puffetta cerchiamo di dirci qualcosa.
Si avvicina il tizio di prima a controllare e anche a lui dico qualcosa che non ricordo poi forse aggiungo: “non c’è posto per le risposte”.
L’uomo chiama l’altro personaggio (quello che aveva portato i fogli) che arriva e dice “Le ho stampate male” quindi prende il mio foglio, sembra spianarlo e pare che compaiano dei numeri ma l’uomo commenta “non ci sono neanche i numeri”.
Propongo di fare una X sulle figure ma poi cambio idea (almeno credo) forse perché non si vedrebbero le X o forse perché non conosco le risposte.
C’è in particolare una domanda di cui ignoro la risposta: “secondo Esopo nella favola dei pici…”, Poi ce n’è un’altra che dovrebbe essere del tipo se sia meglio, quando c’è freddo, mangiare di giorno, di sera o di mattina; io penso subito alla sera poi ci rifletto e propendo per il giorno.
Forse provo a parlare con Puffetta e forse anche con una commissaria donna poi, credo arrabbiato, dico al tizio che non risponderò alle domande con le figure; lui risponde che così avrò solo metà punteggio ma gli ribatto: “non credo proprio”.
Mi alzo e mentre mi allontano, in mezzo all’aula, che è molto grande, pronuncio una frase del tipo: “faccio accesso agli atti, poi vediamo cosa succede”.
Uscito, vedo passare una ragazza in auto (forse Monica Z. mia ex compagna di classe al liceo), penso qualcosa mentre mi incammino o forse non so bene cosa fare.
Incontro una ragazza con un bambino mentre mi trovo in un parco che è in salita; la ragazza mi conosce e mi chiede di Federico io le rispondo che sta… Lei mi dice che forse lo stanno operando.
Le racconto che l’ho visto, gonfio per il cortisone, faceva impressione, lei mi fa un discorso medico su alcuni effetti del cortisone che non sarebbero transitori (che io non capisco) e chiede informazioni al telefono ad una collega forse dal nome di Valeria.
Nel frattempo suo figlio è in basso, lo intravedo e gli faccio un sorriso complice.
Forse il compagno di lei (arrivato sul posto?) chiede di un mazzo di chiavi, forse dico di averle io e che mi sembra una buona soluzione.
Siamo all’ingresso di qualcosa, in discesa, non so dove; c’è un’altra collega della donna, che osservo pensando che se la reincontrassi per strada non la riconoscerei, che dice che Federico … poi chiede “ma non ha un fratello?”
Tra me penso “sono io suo fratello” ma rispondo “no, ha una sorella”; la donna continua dicendo “stanno facendo (l’aspirazione?) anche a suo figlio perché è una questione genetica …”.
Io chiedo disperato: “anche a suo figlio?”, “sì” è la risposta ed io “ma è piccolo” ed indico con la mano l’altezza di un bambino piccolo, quindi scoppio in un pianto a dirotto “mio Dio è terribile, anche suo figlio”.
Alcuni riferimenti li ho individuati agevolmente; Esopo mi viene dalla visita alla Rocca di San Secondo Parmense; Puffetta è una deliziosa collega di cui non svelo il nome, non avendole chiesto il permesso di poterlo fare.
Qui apro una digressione: forse Puffetta non gradisce essere chiamata così ma i miei soprannomi sono come il nome di battesimo sul quale nessuno ha potere di sindacato; essi nascono da una qualche motivo, più o meno recondito, per associazione, opposizione o esasperazione di una qualche caratteristica.
Salvo alcuni, rari, casi il soprannome è segno di particolare predilezione ed è abbastanza scontato che prediligo persone di cui ho stima, con le eccezioni del caso, come ho già detto.
Puffetta compare nel sogno probabilmente a motivo di un “bidone” che le ho ingiustamente tirato, procurandomi anche un danno, ma sfortunatamente mi ha colto in un periodo particolarmente pesante e la mia solita reazione, nei momenti di difficoltà, è la chiusura a riccio.
Il nome Valeria trae origine, credo, da un fatto di lavoro che mi ha sfiorato, nel senso che non me ne sono occupato, oppure da una vicina di casa di tantissimi anni addietro, che non ho mai più rivisto.
Sicuramente ha a che fare con la questione della difesa e dell’aiuto; ogni volta che mi viene in mente questa parola si apre uno squarcio che mi ricorda il salmo 120
“1 Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà, non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
8 Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.”
Niente mistica, ma, parafrasando Don Abbondio, “uno l’aiuto non se lo può dare”; lo si riceve da un altro poi diventa questione propria, di investimento.
Il sogno è una forma di tutela degli investimenti sebbene, nel mio caso, siano ridotti al lumicino.
Continuerò a lavorarci; nel frattempo altri sogni mi hanno agitato le notti che comunque non trascorro tranquille, ultimamente.
Parma, 27 agosto 2019 memoria di santa Monica