Il sogno, nella notte del 13 luglio, sant’Enrico, è molto confuso: sono sulla sommità di un ponte dove si trova una botola dalla quale escono persone e forse bambini che sono scesi da un traghetto giù sulla riva del fiume, dove, peraltro, non c’è un pontile, un punto di attracco; c’è questo ragazzino che è figlio di qualcuno molto tirchio e con il quale, forse, eravamo stati a pranzo in precedenza e lui non aveva pagato, anzi aveva fatto delle storie, un losco figuro, comunque.
Io tengo chiuso il bambino dietro questa botola perché non vuole pagare, ma si ferma una donna in bicicletta, che dice di conoscerlo, e si offre di pagare lei; mi dice alcune cose che non ricordo, chiacchieriamo un po’ poi mi dà i soldi e allora lo faccio uscire.
Siamo in gita scolastica a Lecce, ma non ne sono sicuro, comunque in meridione, con un sacco di bambini al seguito.
forse, in precedenza stavamo pranzando sulla tolda di un barcone o traghetto e mentre attraversiamo questo fiume arriva una mega ondata che ci passa sopra, ma noi siamo coperti da protezioni in vetro per cui lo spettacolo è impressionante ma nulla più.
Siamo in una galleria del treno, qualcuno riesce a scendere o saltare giù perchè andare o non vuole andare … non ricordo.
Stiamo camminando io e mio babbo in una strada di una città del meridione, forse Lecce e non ricordo cosa mi dica a è come se io avessi un’illuminazione, o meglio è una cosa che ho sempre saputo ma lo scoprirlo ora mi dà una grande emozione: scopro di essere figlio del re d’Italia, il nipote di Vittorio Emanuele III e questo mi provoca una fortissima emozione perché penso che adesso, se mio nonno avesse fatto bene, potrei essere il re d’Italia; sono il Principe di Piemonte; sono commosso come se avessi fatto la scoperta della vita.
Sono con Marta, andiamo in una stanza, un ufficio forse, in questo paese del meridione; le racconto questa cosa del re d’Italia e lei mi spiega quali sono i monumenti da visitare quindi mi invita ad andare prendendo con sé la cartina geografica e mostrandomi che è tutto su una via sola.
Andiamo, forse in auto, quindi arriviamo ad una chiesa, ma è buio; cerco di guardare dentro ma non riesco a vedere e mi lamento degli orari: “sono le 5 ed è già chiusa?” ma Marta ribatte “veramente sono le 7.30”; comunque la chiesa è chiusa; seguendo Marta, camminiamo in un lungo corridoio, lungo e stretto, a margine di questa cattedrale; arriviamo dove c’è un’immaginetta, forse un angelo e Marta mi spiega che quest’immagine ha fatto un miracolo.
Nel frattempo escono da questa cappellina due ragazzi, forse marito e moglie che mi chiedono: “ma tu ci credi?” e io rispondo “no”, ma Marta con atteggiamento di chi non vuole che dica quel che penso mi si rivolge con una frase del tipo “no, è meglio non dire queste cose qui”; allora mi correggo dicendo “non è un articolo di fede crederci, quindi si può crederci o non crederci; e proseguo, rivolto a questi ragazzi, mentre passa altra gente: “io credo che chi ha bisogno di una grazia e la chiede, se il Signore pensa che gli possa essere concessa gliela concede, però non ne farei altre questioni”.
Questi ragazzi si allontanano; io devo attaccare qualcosa che era caduto o avevo in mano, direi una farfalla di uncinetto, ma non riesco a rimetterla come dovrebbe essere collocata; ho a fianco Giacomo che mi dice qualcosa che non ricordo; comunque la appendo abbastanza male; proseguo la strada, apro una porta e trovo una chiesa, anzi una cappella dove vedo Marta seduta a pregare e la coppia di prima come se fossero seduti su due sedie che hanno in comune lo schienale (cioè sono seduti uno di schiena all’altro); noi entriamo e … non ricordo altro