Sogno con Federico

 Vedo, da una certa distanza, da una zona sopraelevata, una collina direi, una sorta di torre da cui stanno scendendo, quasi in processione, degli uomini, alcuni dei quali sembrano armati, pare essere un’operazione di polizia. 

Sembra di vedere Federico, sulla cima.

Mi avvicino e vedo che in effetti è un’operazione di polizia, dei colleghi, credo della polizia locale di Rimini, stanno facendo scendere una banda di criminali.

Trovandomi alla base della torre ma coperto dalla rampa delle scale, sento alcune voci verso le quali sono maldisposto perché mi sembrano quelle di alcuni componenti della banda Bassotti (storico gruppo di personaggi riminesi da me così battezzati a dimostrazione della poca stima).

Mentre scendono mi chiedono qualcosa (cosa, non ricordo) che mi lascia perplesso, rispondo che non saprei visto il mio arrivo lì da pochi giorni, forse dal giorno prima.

Scesi tutti a terra, mi mostrano delle strane armi, archi o balestre, chiedendomi se le ha qualcun altro in dotazione, rispondo che in 25 (ma sono davvero 25, mi chiedo per un istante) anni di sevizio non le ho mai viste e preciso che ho anche girato alcuni comandi e conosco tantissima gente, ma mai viste prima.

Vedo poi su un lato Federico che mi dice che è tornato per… ma che adesso tocca a me farlo e lui deve andarsene di nuovo, io gli dico, con una certa disperazione “no, no” cercando di convincerlo a trattenersi.

Forse gli dico che mi ero molto commosso nel vederlo da lontano ma penso contemporaneamente che non era vero.

Sempre dalla sommità della collina di prima (ma non ricordo come si siano svolti effettivamente gli eventi): un tizio alla base mi chiede se ho smarrito un cellulare, rispondo negativamente ma poi aggiungo (forse) che è di Umberto.

Effettivamente è il cellulare di servizio di Umberto ed avviso l’uomo che il proprietario sta arrivando a recuperarlo.

Ora mi trovo con Umberto che mi dice che lì (dove?) siamo comodi a tutto.

Lui deve andare a ritirare dei fiori o qualcosa del genere, ci incamminiamo fino ad arrivare in un posto dove incontriamo il Lombardone (ex collega riminese così soprannominato non da me, in tempi che rasentano la preistoria).

Scambio di battute, credo sulla sua imminente pensione, poi commento il suo lavoro dicendo qualcosa del genere: “nei controlli passi prima, vedi tutto quello che non va, gli dici di mettersi a posto poi torni il giorno dopo e tutto  va bene”.

Umberto esce dal capannone dove era entrato, assieme ad una donna che mi regala una sorta di soprammobile di porcellana, per mia mamma.

Penso che sia come un mazzo di fiori da morto (così si definiscono a Parma i crisantemi, di cui sono appassionato coltivatore), comunque molto brutto.

Mentre tengo tra le mani sto affare, Umberto mi mostra quello che aveva ordinato lui, qualcosa di simile ad un grosso cactus di porcellana, di cui si rivela soddisfatto.

Torniamo verso il distaccamento, a piedi, quando ad un passaggio pedonale, saltano le luci, Umberto si avvicina e le riattiva, arriviamo poi all’ingresso e forse vediamo il pavimento bagnato.

Parma, nella notte tra 17 e 18 aprile 2020

 

 

 

 

 

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