Sabato dedicato al simposio a Milano; me ne sono tornato con alcune idee sulla paranoia, sul potere, sul tiranno e sul fallo; in particolare conservo questa teoria: “posso perchè posseggo alcune caratteristiche”.
Il mondo si divide, quindi, tra coloro che ce l’hanno (il fallo ad esempio) e chi, non avendolo, non può far altro che subire nell’impotenza (con cui le declinazioni possibili).
“Potente e impotente” è una categoria di grande utilità.
Serve per fare chiarezza nel caso del presidente Schreber non meno che nel dialogo tra Gerione I di Siracusa e il poeta Simonide o nello scontro tra san Giorgio e il drago dell’agiografia cristiana.
Potenza (cioè possesso) ed impotenza (mancanza) sono inscindibilmente legate e facce di una stessa medaglia: non vi è chi subisce innocentemente da una parte ed il tiranno dispotico dall’altra, entrambi sono legati allo stesso modo di pensare, anche se specularmente.
Il padre primordiale dell’orda rientra in questa categoria e mi chiedo se il narcisismo non ne sia una variante, visto che è riassumibile nel possesso irrelato e direi quasi ontologico, di una caratteristica o qualità.
Finito l’incontro mi sono concesso la visita alla mostra dedicata al simbolismo, in corso a Palazzo Reale: esposizione molto bella e da non perdere anche se personalmente non mi piace questo movimento artistico.
Le opere in esposizione sono molto belle e ben documentano l’elaborazione artistica di quegli anni drammatici che hanno anticipato la prima guerra mondiale.
Il primo padre di questo movimento, secondo i curatori, è stato Charles Baudelaire che nei Fleurs du mal tratta di temi, quali il satanismo, che avranno successo presso i pittori, tra i quali Félicien Rops, Albert von Keller e Franz von Stuck, amore, morte, peccato.
L’enciclopedia Treccani online ben sintetizza l’opera di Baudelaire che seppe rappresentare “l’esasperato pessimismo di molti poeti e letterati della sua generazione, disse la tormentata malinconia d’una condizione di caduta e di rinuncia, la noia che opprime e isola, gli slanci verso ideali di bellezza assoluta, le rivolte, i rinnegamenti, le evasioni verso i regni della voluttà, del vizio, dell’autoesaltazione, del sogno e della morte, e sempre con un senso quasi cristiano di colpa, con una lucida coscienza del peccato, con un miraggio di elevazione e purificazione.”
Una descrizione perfetta anche per tanti pittori presenti a Milano.
Sontuose rappresentazioni come quelle di Gustave Moreau o di Wilhelm List o ancora di Pierre Amédée Marcel Béronneau, di un estetismo tanto raffinato quanto esasperato, nascondono e rivelano al contempo un vuoto terribile.
La credenza in una Bellezza ideale cui l’artista potrebbe attingere in virtù della sua arte oppure l’idea di un amore puro e spirituale, cioè ideale, come in Segantini ne sono altre declinazioni.
Ogni artista, com’è ovvio, rende con le proprie peculiarità, quello che sembra essere il milieu di un’epoca che ha smarrito la bussola e che nasconde sotto il tappeto di estetismo, esotismo, spiritualismo e via “ismando” l’angoscia.
Già, angoscia: questo è il tratto comune a mio parere più evidente di tutte le opere esposte; più o meno dichiarata ma onnipresente e trasformata quasi in cifra del presunto genio che è l’artista, capace di rendere, nel suo linguaggio iniziatico il male di vivere e l’Ideale irraggiungibile che di quel male sarebbe al contempo causa e cura.
Altra tratto comune: l’inimicizia per la donna che viene spiritualizzata oppure trasformata in femme fatale, comunque estranea all’idea di partnership con l’uomo.
Le opere di Franz von Stuck, Gustave Moreau, Fernand Khnopff, Giulio Aristide Sartorio ne sono palese teorizzazione: la donna è un inaccessibile mistero, pericoloso sopratutto quando seducente ed anzi mortifera perchè seducente.
Manco a farlo apposta, ma il potere legato al possesso di una caratteristica di cui parlavo prima, mi sembra un criterio utilissimo per giudicare quanto ho visto in mostra.
L‘artista, poeta o pittore che sia, nell’epoca del simbolismo, è colui che possiede una virtù, una caratteristica che lo rende superiore o comunque diverso da ogni altro essere umano: è il potente di turno.
Certo non è politicamente potente, e credo che nessun artista avrebbe mai accettato di darsi alla politica, arte del compromesso e dello sporcar le mani.
Potente nella cultura, nella conoscenza dell’Ideale o meglio ancora dell’Essenza.
Lo si potrebbe definire un mistico dell’Ideale.
E un disonesto perchè nasconde, senza riuscirci, l’angoscia e quando parla dei sogni (vedi Odilon Redon) mistifica il lavoro del sogno (sano) con le allucinazioni ad occhi aperti (patologiche).
Nessun artista, infine, è sfuggito alla tentazione narcisistica intendendo qui “narcisismo” come il dominio dell’Ideale sull’io o il vizio della superbia (credo si potrebbe stabilire l’equivalenza Potente=superbo=narciso).
I simbolisti non sono stati buoni maestri.
La mostra è da non perdere per poter respirare l’aria culturale che tirava sullo scorcio del XIX secolo, poco prima della catastrofe della Grande Guerra.