Museo diocesano di Milano
Il museo diocesano di Milano non è il protagonista, non l’unico perlomeno, di questa giornata splendida.
Partenza di buon’ora per giungere verso le 10 a Milano con l’obiettivo primario di rivedere una cara, anzi assai più che cara amica; la sua compagnia rende speciale ogni giornata quindi ero già partito con la certezza che la giornata sarebbe andata bene, come in effetti è stato.
Un caldo affettuosissimo abbraccio e poi via, a fare una gustosa colazione con cornetto e caffè per passare poi alla meta che ci eravamo prefissati, il Museo Diocesano che io non avevo mai visitato e che, in questi giorni, espone un’opera di straordinaria bellezza, un’Anta dell’Armadio degli Argenti con le Storie dell’Infanzia di Cristo, capolavoro di Beato Angelico.
Anta dell’Armadio degli Argenti
La destinazione di quest’opera era di fungere da porta dell’Armadio nel quale venivano conservati gli argenti, gli ex-voto donati dai fedeli alla Madonna miracolosa, nel santuario della Santissima Annunziata a Firenze.
Giovanni da Fiesole vi rappresenta, in miniatura l’infanzia di Gesù a partire da una visione mistica, quella di Ezechiele, quella visione del tetramorfo che sarà poi la base per l’attribuzione agli evangelisti dei loro attributi distintivi: leone, bue, aquila ed angelo.
Seguono poi, in rigoroso ordine cronologico gli episodi noti dell’Annunciazione, Natività, Circoncisione, Adorazione dei Magi, Presentazione al tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti e Disputa coi dottori nel tempio: ogni riquadro è sovrastato da un riferimento profetico del Vecchio Testamento e corredato, nella parte inferiore, della corrispondente citazione evangelica.
Splendida, in particolare, l’Annunciazione, con l’angelo che sfoggia con disinvoltura ed innata eleganza un paio di ali da farfallone (non amoroso); a tal proposito la mia compagna di visita si chiedeva il motivo di tali colori, la risposta è giunta da uno dei pannelli esplicativi: i colori delle ali riassumerebbero tutti gli altri colori della tavola a significare che ciò che era stato preconizzato dai profeti nell’Annunciazione trovava il compimento.
Io ho proposto un approfondimento con l’armocromista della nostra beneamata Elly per verificare se l’arcangelo Gabriele avesse rispettato i dettami della comunicazione efficace, ma fortunatamente non frequento personaggi così altolocati per cui ci siamo tenuti l’angoscioso dilemma.
Gustosissima anche la scena della circoncisione (magari per il Bambino Gesù lo è stata un po’ meno) col Nostro protagonista rigido come se fosse … mi verrebbe una parola in dialetto che tuttavia non ho rinvenuto nei dizionari ove ho cercato, la italianizzo in “istenco”: Gesù bambino non sembra molto collaborativo, anzi lo direi incavolato di brutto all’idea che gli vadano a tagliare un pezzetto di pistolino (ci risiamo col pistolino!)
Bella anche l’ultima scena, coi dottori, che è sintetizzabile come discussione della tesi di laurea.
Le altre opere
Oltre a questo pezzo straordinario – in prestito da Firenze – il Museo Diocesano merita comunque la visita che non può cominciare senza il benvenuto di sant’Ambrogio, che accoglie i visitatori in un tondo di stucco policromo risalente al X secolo ma “identico” alla prima rappresentazione del santo con barba corta ed in età giovanile del mosaico del sacello di San Vittore in Ciel d’Oro in Sant’Ambrogio, più antico di 5 secoli.
Il più consueto Ambrogio, in età avanzata è presente grazie all’opera di Carlo Francesco Nuvolone, Sant’Ambrogio in gloria, splendente nella solennità barocca eppure con lo sguardo assorto ma dolce.
Due angioletti gli reggono i tradizionali attributi, il flagello a tre corde (rimando alle sferzanti omelie) ed il pastorale: di Ambrogio è presente anche il letto; ovviamente non sappiamo se sia stato effettivamente il suo letto ma di quell’epoca è certo.
Poi tanti oggetti, sculture, dipinti, non manca nulla; mi sono piaciute moltissimo una Colomba eucaristica, in metallo e smalto che doveva fungere da porta ostie, poi c’è la Capsella di San Nazaro, contenitore che sarebbe stato impiegato da Ambrogio nel 386 per trasportare le reliquie degli apostoli da Roma a Milano per la consacrazione della basilica Apostolorum.
In legno tre splendide sante, Maria Maddalena, Agnese e Barbara, opere di Rolando Botta e Antonio Raimondi mentre in marmo c’è la Madonna con il Bambino di Tommaso Rodari, che ha una dolcissima espressione ed un manto particolarmente elaborato che trasmette una sensazione di grande eleganza.
Passando alla pittura, c’è uno splendido San Francesco riceve le stigmate di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone ed una gustosissima Assunzione della Vergine tra i santi Giovanni Battista e Stefano di Marco d’Oggiono che ignoravo fosse uno degli allievi diretti di Leonardo.
Mi sono imbattuto in una tela inquietante, quasi un frame da un fil horror molto orrorifico: Il furto sacrilego, questo è il titolo, opera di tal Alessandro Magnasco, pittore genovese.
La scena è cupa, molto animata ma buia, ma animata di scheletri: ho scoperto che il riferimento è, come dice il titolo, ad un tentativo di furto sacrilego avvenuto la notte dell’Epifania del1731, nella chiesa di Santa Maria Assunta di Campomorto, a Siziano, nella provincia pavese.
Gli scheletri muniti di torce si sono erti a difensori della chiesa, spaventando i malcapitati ladri che sono andati ben presto a far loro compagnia sotto terra dopo essere stati giustiziati mediante impiccagione.
Di tutt’altro tenore un capolavoro di Francesco Hayez, Crocifisso con la Maddalena genuflessa e piangente, rappresentati decontestualizzati, quasi fuori dal tempo storico, assurti a emblema di un dolore inconsolabile ma manifestato con estremo garbo e compostezza.
Ho guardato velocemente, proprio il settecento poco mi attrae, la collezione di opere donate dal cardinale Giuseppe Pozzobonelli di cui nulla sapevo ma che è stato un longevo arcivescovo meneghino cui si deve, tra l’altro, l’approvazione dell’idea di collocare nella sommità delle guglie del Duomo quella che è conosciuta in tutto il mondo come la Madonnina.
La Collezione Crespi
Ad un certo punto ci si imbatte nella Collezione Crespi, chiamata “Fondi oro” che sembra quasi il nome di un’insegna pubblicitaria di quelle attività che acquistano oro usato; non è così, ovviamente, visto che si tratta di opere, eseguite tra Trecento e Quattrocento, tutte a carattere religioso: un profluvio di santi o episodi della vita di Gesù, tutti connotati dallo sfondo dorato.
Il ritratto di un santo vescovo, non identificato, del fiorentino Cenni di Francesco mi attrae molto per l’espressività del volto: l’anziano prelato ha lo sguardo deciso e quasi corrucciato, molto reale, non stereotipato.
Altre due tavolette che rappresentano Flagellazione e Deposizione nel sepolcro, presunte opere di Francescuccio di Cecco Ghissi mi richiedono particolare attenzione prima che lo sguardo corra a Michele di Matteo ed il piacevolissimo (artisticamente) Le esequie di Santa Cecilia per passare a Lazzaro Bastiani autore di un San Girolamo con una monaca donatrice.
La Collezione Schubert
Molto piacevole un elegante sant’Ambrogio, di anonimo lombardo risalente ai primi decenni del XV secolo, ma è ora di passare ad altro perché un reliquiario a forma di croce non può passare inosservato mentre lo sguardo corre a due pannelli a mio giudizio splendidi, di Gherardo di Jacopo Neri detto Starnina, l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Annunciata.
La collezione del cardinale Cesare Monti
Tra le tante opere collezionate da questo cardinale arcivescovo del diciassettesimo secolo spiccano quelle del parmigiano Camillo Procaccini ma imperdibili sono il San Giuseppe con il Bambino di Guido Reni (che mi ricorda tantissimo analogo soggetto esposto al Museo della Città, in quel di Rimini), che negli sguardi intensissimi tra i due personaggi esprime una delicatezza commovente, e il Vaso di fiori di Daniel Seghers di raffinata eleganza e che dovrebbe rappresentare un’allegoria della Compagnia del Gesù, affermazione che credo sulla parola.
La Collezione Marcenaro
Questa collezione è dedicata alle sculture, tutte molto interessanti ma imperdibili un commovente Ecce homo, di bottega lucchese e un immancabile San Sebastiano, in legno scolpito, dipinto e dorato: questa scultura, di scuola marchigiana della prima metà del sedicesimo secolo ritrae un Sebastiano molto giovane e non nella versione più drammatica, qui non v’è traccia di dolore.
Le opere di Lucio Fontana
Un salone è dedicato alla opere di Lucio Fontana, che si dividono in due destinazioni, da un alto ci sono i gessi prodotti per il concorso per la realizzazione della quinta porta della cattedrale, dall’altra la Via Crucis “bianca”, formelle ottagonali in ceramica bianca per la cappella della Casa Materna Asili Nido Ada Bolchini Dell’Acqua di Milano; vi compaiono solo pochi cenni di colore, rosso, nelle prime nove formelle, che individuano le vesti di Gesù.
Le forme moderne rendono comunque l’intensità tragica degli eventi legati alla Passione del Signore.
Altre opere
Autori moderni, di grandissimo spessore, fanno da corollario alle collezioni di opere più antiche: Sola!, di Emilio Longoni, pastello che rappresenta lo strazio di una made che perso il figlio, e La via al Calvario, di Gaetano Previati dove Maria sale accompagnata e sostenuta da un corteo di donne, al Calvario.
Una scultura di grande impatto è quella di Paolo VI, di Floriano Bodini, che rappresenta il pontefice coi paramenti episcopali, con le mani che fuoriescono dal piviale, conferendo movimento e forte intensità al papa che ha, accanto un’altra produzione dello stesso artista, Colombe, dove tre uccelli sembrano ritratte un istante prima di toccare terra.
Una menzione particolare la riservo a Crocifisso 46 di William G. Congdon, che mi ricorda gli anni riminesi di frequentazione del compianto Don Piero Sancisi di venerata memoria.
Evidentemente faccio torto a tante, tantissime altre opere che avrebbero meritato plausi e menzioni, ma queste che ho citato potrebbero far parte di un mio piccolo museo del gusto; il museo diocesano ne propone davvero tantissime altre per cui la visita di queste sale è assolutamente imperdibile.
MARIO DE BIASI E MILANO. EDIZIONE STRAORDINARIA
Abbiamo approfittato anche di una mostra fotografica, temporanea, dedicata a Milano: fotografie di Mario de Blasi dedicate ad una città in rapido cambiamento negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
Un paio, in particolare, ho trovato interessantissime, la Befana del Vigile Urbano, degli anni Cinquanta: tantissimi pacchi attorniano la pedana sulla quale lavora il vigile che dirige il traffico e l’altra foto proprio questo rappresenta: un vigile urbano sulla predella a centro strada, solitario direttore d’orchestra, garante dell’ordine del traffico.
Un mondo che non esiste più, archeologia anche per me.
Terminata la visita al bellissimo museo diocesano ho proposta alla mia amica di visitare la Cappella Portinari e lì ci siamo spostati.
La Cappella Portinari
Questa Cappella è un luogo straordinario; voluta dal fiorentino Pigello Portinari per la sua sepoltura, fu affrescata fra il 1462 e il 1468 da Vincenzo Foppa con episodi miracolosi della vita del domenicano san Pietro martire; uno in particolare è curioso perché, caso direi unico nelle chiese cattoliche, vi sono rappresentati la Madonna col Bambino muniti di un bel paio di corna.
Varie sono le spiegazioni: una sostiene che il demonio si fosse nascosto dietro il dipinto della Madonna per disturbare il santo mentre celebrava la Santa Messa, un’altra, invece, che quello fosse un luogo di riunione di eretici catari ai quali un loro vescovo faceva apparire questa Madonna col Bambino, attirando così tanti cattolici alla conversione al catarismo.
In entrambi i casi la conclusione, felice, della vicenda è dovuta alla fede eucaristica di san Pietro martire che, mostrando l’Ostia consacrata, rende manifesto l’inganno, cioè la provenienza demoniaca dell’apparizione.
Altro caso curioso: un giovane che aveva preso a calci la madre, pentitosi del gesto, si era amputato un piede per punizione; il santo, certo dell’autentico pentimento del giovane, giudicandone eccessiva l’autopunizione, gli riattacca l’arto; l’ultimo miracolo, se vogliamo il più banale, è quello di una nuvola che il santo fa comparire per dar sollievo, in un torrido pomeriggio estivo, ai fedeli che assistevano ad una sua predica.
La rappresentazione del martirio, infine, vede il santo che col suo stesso sangue, scrive sulla terra “credo”.
L’arca di san Pietro martire
Sotto questi affreschi c’è un altro capolavoro, l’arca di san Pietro, capolavoro gotico, in marmo bianco di Carrara, firmata e datata 1339 da Giovanni di Balduccio.
Otto pilastri quadrangolari in marmo rosso reggono l’arca, ognuno dei quali è riparato da statue femminili che rappresentano le virtù teologali e cardinali (e in aggiunta l’obbedienza); ognuna ha, ai piedi, animali simbolici.
Al di sopra sono rappresentati alcuni santi, tra i quali apostoli e dottori della chiesa ed ancora più in alto, a fianco del coperchio, statue rappresentanti le gerarchie angeliche.
L’arca poi è suddivisa in formelle che raccontano episodi della vita del santo e miracoli da lui compiuti.
Narra la leggenda che l’arca fosse troppo corta per contenere il corpo di san Pietro, così che venne decollato e l’urna col capo, portata in arcivescovado dall’arcivescovo Giovanni Visconti che da quel giorno iniziò a soffrire di emicrania.
Riportata la reliquia al suo posto, san Pietro divenne il protettore dalle emicranie ed ogni milanese che ne soffriva (cosa non inusuale vista la famosa nebbia che ha sempre afflitto la pianura padana) si recava presso questa arca contro la quale batteva il capo.
Visitata la Cappella, restava la basilica che con la sua aria cupa mette un po’ in soggezione; ci facciamo comunque due passi – la mia amica non ha il coraggio di dirlo ma percepisco che è ormai satura di opere d’arte – per dare uno sguardo all’ancona della Passione, opera straordinaria commissionata da Gian Galeazzo Visconti e realizzata dal 1395 al 1402.
Ma c’è un’altra caratteristica importante della basilica: la Cappella dei Magi; qui il vescovo Eustorgio avrebbe trasportato da Costantinopoli le reliquie dei tre Re Magi, custodite in un antico sarcofago romano di pietra decorato solo con una stella cometa e una scritta settecentesca: «sepulcrum trium magorum».
Nel 1162 Federico Barbarossa distrugge Milano ed il suo cancelliere, l’arcivescovo Rainald von Dassel si impossessa delle reliquie e le trasporta a Colonia dove verranno custodite nella splendida cattedrale; solo nel 1903 il Beato Cardinal Ferrari (originario del parmense) ottenne la restituzione di alcune reliquie.
Ultima veloce tappa al cimitero paleocristiano sotto la basilica e fine della giornata dedicata all’arte e alla storia della chiesa.
Il resto della giornata
Un frugale pranzetto a base di un buon trancio di pizza è la giusta pausa dopo una mattinata così intensa; le mie intenzioni sarebbero quelle di trasferirci a Palazzo Reale per la mostra di El Greco, ma complice l’orario ormai avanzato, cedo alle lusinghe di starcene in giro a chiacchierare e guardare negozi; accade così che mi capiti di vedere l’insegna di un negozio di cui ho visto la pubblicità su alcuni giornali.
Incuriosito, invito la mia accompagnatrice a farci un salto, lei acconsente di buon grado e ci ritroviamo di fronte alle vetrine di Spada: sarà solo la bonaria caparbietà della mia amica a convincermi ad entrare.
Ne siamo usciti scornati perché nessun capo di abbigliamento è in grado di rivestire la mia imponente figura, salvo per due eccezioni: una splendida sciarpa ed una coppola che ho comprato nonostante fortissime resistenze, vinte ancora una volta dalla decisione della mia ninfa Egeria.
La giornata volge al termine, i treni ci attendono per cui è l’ora di separarci per dirci arrivederci; notava l’amica che era accaduto che le sembrasse di esserci rivisti dopo pochi giorni di distanza, mentre sono trascorsi più di due anni.
Non è una novità, per me, né una stranezza: ci sono persone cui sono unito da tale stima ed affetto che ogni incontro è come se fosse la continuazione, senza soluzione di continuità, col precedente: quello di oggi è uno di quei casi.
Talvolta capita di vivere giornate splendide.
Milano 11 gennaio 2024 memoria del Santo Bambino di Praga