San Pietro martire, ovvero Pietro Rosini da Verona, frate Predicatore, inquisitore, martire appunto.
Ne ho letto velocemente su internet la biografia: uomo instancabile, come san Domenico di cui era discepolo, figlio di eretici che ha dedicato la vita a contestare l’eresia.
Mi verrebbe da definirlo un po’ fissato, ma erano altri tempi e l’integrità del Corpo di Cristo era un bene primario che a volte si è pensato di preservare con l’uso di strumenti non esattamente cristiani e della cui inefficacia siamo oggi ben consapevoli.
Una delle colpe che il cristianesimo ancora sta pagando credo possa essere stata l’inculturazione, ovvero l’avere accettato di mediare e far propri pensieri che di Cristo non erano proprio amici, a partire dal pensiero filosofico greco. Da tempo l’amico Gabriele riflette sul divario tra la metafisica dell’essere e la metafisica dell’incontro, ovvero della differenza tra il pensiero greco e quello ebraico.
Ai tempi di Domenico, Francesco e Pietro il pensiero ostile era quello eretico ma l’errore, o meglio forse l’ingenuità è consistita nell’accettare l’idea che il potere temporale potesse o dovesse intervenire in questioni che non lo riguardavano.
Pietro, come altri del suo tempo, ma in maniera più efficace, si è dedicato tutto alla lotta all’eresia, sfidandola sul suo stesso terreno, almeno per quanto riguarda i costumi: una vita ascetica ai limiti e l’idea di lotta, battaglia contro… Mi sembra che ci sia stato l’equivoco o meglio il fraintendmento non di poco rilievo che ben ha chiarito Giacomo Contri parlando della differenza tra difesa da e difesa di, in cui la prima ipotesi è guerresca, paranoica e “fissata”, mentre la seconda implica la cura, cioè l’avere cura che è pacifico e senza preclusione ad ogni ambito dell’esperienza umana.
L’unità della Chiesa (e dello stesso corpo sociale) era considerato allora un bene primario, ma da cosa è data l’unità?
La sua tomba, a Milano, è bellissima e testimonia quanto questo martire fosse considerato importante per la Chiesa.
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