Del tutto inaspettata questa chiesa, già il nome, così lungo, ne suggerisce l’importanza, San Maurizio al Monastero Maggiore, me la trovo all’improvviso, durante il peregrinare: fortunatamente all’esterno c’è un’indicazione che invita ad entrare e qui, in effetti, ci trovo un po’ di visitatori, come merita il luogo, davvero bellissimo.
Una chiesa totalmente affrescata, come dovevano essere un tempo quasi tutte, è una delizia per i miei occhi; ho letto che è considerata la Cappella Sistina di Milano, il paragone è un po’ ardito ma sicuramente la suggestione che se ne ricava è fortissima.
Tre sono i pittori che hanno lasciato il segno: Bernardino Luini, Simone Peterzano e Giovanni Antonio Boltraffio. Pensando al fatto che era un convento, anzi il maggior convento di monache di clausura di Milano, mi sembra un attimo un po’ poco sobrio, ma mi interessa, invece, l’idea che anche le claustrali potessero e sapessero apprezzare la bellezza. Sono convinto che l’idea di povertà, intesa come miseria, sia una rovina per la chiesa tutta: la chiesa non deve essere povera; la miseria, anche psichica, è già abbastanza imperante (oltre che dannosa e mortifera).
Fantastico anche l’Organo di Giovan Giacomo Antegnati, del 1554.
Come ogni chiesa che si rispetti, inoltre, anche San Maurizio al Monastero Maggiore ha le curiosità peculiari che, nello specifico, sono legate alla vicenda della marchesa di Challant, un’avvenente signora che, nata povera, riesce a diventare marchesa, ricchissima e collezionista di mariti fino a quando non commissionerà l’omicidio dell’ultimo. Scoperta, viene condannata alla decapitazione, alla quale potrebbe avere assistito il Luini che ritrarrà il viso della perfida marchesa nell’episodio del martirio di santa Caterina d’Alessandria.
[nggallery id= 174]