San Marco a Firenze è sinonimo di Beato Angelico e di domenicani – la sua tomba infatti è a Roma a santa Maria sopra Minerva, basilica domenicana per eccellenza e scrigno di altrettante meraviglie.
Nelle precedenti occasioni di visita non ero mai riuscito a visitare la basilica e l’annesso convento di san Marco, ma il giugno dello scorso anno è stato differente: avevo deciso di privilegiare questa visita su (quasi) tutto il resto.
Esperienza straordinaria; a tacere di tutto il resto, salire le scale del convento e trovarsi, imbattersi direi, nell’Annunciazione, di Beato Angelico.
Un’opera di bellezza fuori del comune in cui tutto è talmente perfetto da trascendere la temporalità: è un evento accaduto in un determinato momento storico ma è come se questo riaccadesse in ogni istante, efficace per ogni luogo e cultura, nel tempo eppur fuori dal tempo.
Totalmente assente l’idea di povertà, di ristrettezze da povericristi.
Girando per le celle, che si affacciano su un ampio corridoio centrale, un po’ il mio ideale di vita (ma non mi farebbe schifo nemmeno una sistemazione tipo il beginhof che ho visto ad Amsterdam), si scoprono Crocefissioni o scene evangeliche, sobrie eppure splendide, quasi sfolgoranti nel contrasto con le spoglie pareti bianche.
Ogni frate aveva a disposizione un soggetto sacro col quale confrontarsi e meditare, lontano da ogni altra distrazione; una certa idea di povertà può essere ben intesa proprio in questo senso: non c’è necessità di possedere – tenere per sé in esclusiva – alcun bene che è a disposizione, si potrebbe dire a portata di mano, di ciascuno, utilizzabile e fruibile secondo i “talenti” di ciascheduno dei consociati (i confratelli).
Le celle sono testimonianza di una povertà non pauperista e sappiamo bene come i domenicani siano stati un ordine “di frontiera”, che è andato a sfidare gli eretici nel loro stesso campo: continenza, povertà, predicazione, vita austera.
Temo che la grande battaglia contro l’eresia non sia stata vinta ed anzi oggi gli epigoni di quei dualismi che la chiesa ha sempre combattuto sembrano più che mai sulla cresta dell’onda, ma questo è un altro discorso.
In questo convento è vissuto, come priore, Girolamo Savonarola, controverso protagonista della storia fiorentina della seconda metà del Quattrocento; qui dopo aspra contesa è stato arrestato per essere poi arso sul rogo.
Fustigatore e perciò intollerante, insofferente di ogni mondanità, Savonarola ha impregnato del suo spirito non solo la città di Firenze; famoso il suo “falò delle vanità” che, il 7 febbraio 1497, martedì grasso vide ardere al rogo un ingente numero di oggetti ritenuti peccaminosi o comunque potenzialmente causa di voluttà.
Sandro Botticelli, non esente da siffatta euforia, ha distrutto alcune sue opere: la distruzione col fuoco è, a ben guardare, una forma di ingenuità (e sappiamo che l’ingenuità non è una virtù) con tentazione perversa; avendo di mira, come detto, la distruzione, è una forma di rinnegamento del passato, un modo di cancellazione di ciò che è avvenuto, senza conservarne memoria.
Atto che manifesta una mancanza di giudizio che non risolve le contraddizioni o difficoltà di pensiero ma le eternizza seppur nella negazione. Aggiungerei che, non a caso, anche Girolamo Savonarola farà la stessa fine: il rogo, seppur non inventato dalla chiesa (era crimen laesae maiestatis e perciò punito col rogo dal 8 a.C. dalla Lex Iulia maiestatis introdotta da Augusto), ha goduto di una certa fortuna presso il braccio secolare, nell’ingenua convinzione di distruzione, assieme al corpo, anche delle idee dell’eretico.
Il museo ospita altre opere di Beato Angelico, oltre all’Annunciazione, tutte bellissime, non ci sarebbe nemmeno necessità di precisarlo; segnalo per quanto mi ha colpito, il Giudizio Universale, gustosissimo nella descrizione delle pene, con tanto di demoni che divorano i dannati, pentoloni che li cuociono e via torturando ma non meno piacevole nel tratteggiare un più anodino paradiso com’è d’altronde normale perché l’uomo è sicuramente esperto nell’ideare pene, angustie e tribolazioni tormentose, molto meno brillante nell’elaborazione di soluzioni pacifiche e “sane” secondo il doppio valore della parola salus salute/salvezza.
La Pala di san Marco, seppur rovinata da un restauro sbagliato secoli fa e recuperato da uno tecnicamente adeguato solo nel secolo scorso, è un altro esempio di straordinaria abilità di Beato Angelico che riesce a “caricare” l’opera di una notevole serie di messaggi politici e religiosi senza farlo esplicitamente trasparire.
Per sommi capi: si parla di povertà, di ordini religiosi che della povertà hanno fatto un carisma, della famiglia Medici, di intermediazione della stessa famiglia, di ricchezza non vituperata e di mecenatismo.
Splendide anche le predelle che narrano episodi della via dei santi Cosma e Damiano, protettori della famiglia Medici in quanto medici (di professione).
Anche i codici miniati in esposizione contribuiscono ad accrescere la suggestione del convento di san Marco.
C’è anche la basilica da visitare: splendidi gli affreschi di Passignano nel vestibolo della Cappella Salviati che ospita le spoglie mortali di Sant’Antonino da Firenze, un domenicano che fu priore del convento ai tempi del Beato Angelico poi eletto arcivescovo di Firenze, sebbene con suo scarso entusiasmo visto che per evitrlo si diede alla fuga (ma fu intercettato e ricondotto a più miti consigli).
Molto bella la Vergine in preghiera, grande mosaico proveniente dalla basilica di san Pietro in Vaticano ma sono tante le opere importanti che rendono al basilica di san Marco un luogo imperdibile di Firenze.
Vi sono sepolti anche alcuni uomini illustri, da Pico della Mirandola a Agnolo (ai miei tempi di liceale Angelo) Poliziano per concludere con Giorgio La Pira, “visionario” sindaco democristiano di Firenze negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
La vita culturale, artistica e sociale della città trova qui un condensato.
Firenze, 22 giugno 2022 memoria di san Thomas More e John Fisher