un rospetto la natura e i colori

Tornato a casa dalla fatica della festa degli alpini, sistemando gli ombrelloni, riposti in cantina, spostavo anche le piastrelle, pesantissime che li fissavano al terreno: quale sorpresa nel trovare, sotto l’ultima, un rospetto, simile a quello dell’orto dello scorso anno eppur diverso nella livrea, con macchie verdi sul beige che lo rendevano  molto gradevole alla vista.

Raccontando a mia madre che mangia le limacce l’ho salvato da morte quasi certa tanto che lei ha collaborato con me per la cattura ed il trasferimento nell’orto.

Ho scoperto che si tratta di un esemplare di rospo smeraldino, bufo viridis.

Il ritorno di animali quasi scomparsi mi rallegra e segna una delle tante pacificazioni con un passato in cui tutto mi era indifferente quando non ostile.

Da bambino mi raccontavano di stare attento ai pipistrelli, allora abbondanti, perchè rischiavano di finire intrappolati tra i capelli, con effetti poco simpatici; dei rospi si diceva, invece, che i loro sputi fossero accecanti, con l’invito a tenersene ben lontani.

Non so se chi raccontava queste panzane ci credesse ma l’effetto fu quello di estraniarmi dalla natura che allora circondava casa mia: mi sento molto più a mio agio all’interno di un museo piuttosto che in un alpeggio.

Vero che la natura è priva di senso e perciò frigida e indifferente (madre natura quando mai?) mentre gli elaborati umani un senso ce l’hanno e perciò sono fruibili; anzi la stessa natura diventa bella nel momento in cui l’uomo sa modificarla secondo criteri umani cioè metafisici.

Ho rivisto, dopo anni, anche alcune farfalle, altro animale che ricordo dell’infanzia, poi quasi del tutto scomparso; mi mancano adesso soltanto le lucciole che, da bambino, mi incantavano coi loro misteriosi e fascinosi lumini.

Le lucciole sono ormai anche semanticamente scomparse visto che non si trovano più nei giardini, come mi accadeva da bambino, nè sui viali delle grandi città, sostituite dalle escort. Il termine lucciole era lezioso, velato di romantica tenerezza, quello di escort suggerisce delle asettiche professioniste.

Alcuni giorni fa mi è capitato di fotografare una farfalla, temo morente, posata a terra in cortile e molte, di più piccole dimensioni danzano allegre tra i fiori dell’elicriso.

Altra convinzione che ho stemperato nella testa di mia madre è quella sui crisantemi, chiamati in famiglia i fiori dei morti; sono riuscito a farne comprare alcune pianticelle, stracolme di fiori.

Non sono diventato un languido sentimentale, invece apprezzo sempre più  i colori che i fiori possono offrirci: ricordo che da giovanotto vestivo spessissimo di blu e solo di blu (un giorno, da Fiaccadori, mi scambiarono per un seminarista a causa della sobrietà dell’abito); non è più così da tempo: adesso amo i colori, vivaci.

Valorizzo la vivacità a discapito delle sfumature: mi sono chiesto se questo non sia un tentativo di semplificazione e quindi un impoverimento del pensiero.

Non ho ancora trovato risposta: la mia pulsione a ipercriticarmi mi induce a pensar male anche in questa occasione ma forse è un falso problema, di quelli che fanno attardare e disperdere energie.

Resto amante dei fiori, dei colori vivaci e degli eccessi di certo barocco.

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