“Processo a Socrate” è il titolo del bel libro di Mauro Bonazzi dedicato alle vicende giudiziarie del famoso filosofo ateniese condannato a morte mediante assunzione di cicuta.
Un appunto sulla cicuta: pare che ad Atene fosse considerabile come un privilegio la morte mediante cicuta, meno dolorosa e infamante del lancio in un baratro e dell’apotympanismos (una sorta di crocefissione), ma più costosa perchè l’acquisto della bevanda era a carico del condannato, con buona pace di Cesare Beccaria.
Torniamo a Socrate; l’autore sostiene che il processo a carico di Socrate fu regolare, rispettoso delle procedure previste dall’ordinamento della città; la condanna fu, invece, abnorme ma … per colpa di Socrate.
Fu il filosofo, col suo atteggiamento, a provocare una condanna così dura.
Ma procediamo con ordine.
Socrate vive ad Atene come un cittadino esemplare, ne rispetta le leggi, compie con onore i doveri militari sui campi di battaglia dove è chiamato, frequenta l’area della città dove si svolge la vita civile e politica e qui si dedica alla sua attività principale, discutere con chiunque attorno ad alcuni temi centrali, principalmente morali ma non solo.
La sua scelta di non lasciare nulla di scritto ci costringe a ricostruzioni ricavate da quanto ci hanno riportato i testimoni e i discepoli, in particolare Platone e Senofonte, lasciando, di conseguenza, dei margini di incertezza che non saranno mai chiariti del tutto.
Socrate è anche il personaggio di una commedia, “Le nuvole” di Aristofane, uno che non gli era sicuramente amico e che lo dipinge come un eccentrico che si occupa di “bazzecole, quisquilie, pinzillacchere” come la misurazione del salto di una pulce, e che corrompe i giovani, insegnando loro a scardinare i fondamenti dei valori cittadini con argomentazioni capziose e prive di fondamento.
Aristofane lo accomuna a quei pericolosi innovatori per i quali si potrebbe a ragione dire che il commediografo fa di ogni filosofo … un sofista.
Siamo in un periodo turbolento per la vita politica di Atene, fazioni in lotta per il potere (democratici ed oligarchici) e nemici esterni (Sparta e non solo) inquietano la città, con le ovvie conseguenze di lotte intestine, omicidi politici e vendette di vario tipo.
Le turbolenze sono anche intellettuali: in questo periodo si sviluppano temi che l’umanità si porterà addosso per secoli mentre i sofisti occupano la ribalta e mettono a dura prova le certezze che stanno a fondamento dell’etica cittadina.
Eccoci dunque al 399 a.C. quando Socrate viene citato in giudizio: «Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò quest’accusa e la giurò: Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi che la città riconosce, e di introdurre altri nuovi esseri demonici. Inoltre, è colpevole di corrompere i giovani. Si richiede dunque la pena di morte.»
Le accuse, ci spiega Bonazzi, non sono così prive di fondamento come spesso è stato ripetuto ed, ancora una volta, una possibile confusione coi sofisti può avergli pesantemente nuociuto.
Come loro, egli utilizza la parola per demolire le certezze altrui, senza proporre mai una tesi propria in modo tale da essere inconfutabile: è la famosa ironia socratica, preliminare della maieutica, ma anche una potente arma che li permette di vincere gli avversari senza mai dover incassare a sua volta il colpo.
I sofisti sono una nuova figura di filosofi e retori che nascono anche grazie ad un aumento della complessità della vita della polis: difficoltà che vengono risolte attraverso i tribunali. Bonazzi ci spiega che Atene è la città dei processi, anzi una città malata di processi, come sostiene il solito Aristofane ne “Le vespe”; ebbene nei processi quel che conta non è la verità ma l’abilità oratoria capace di persuadere: parola e legge, il nomos, vengono piegate alle lotte in tribunale, dove quel che conta è vincere.
Difficile credere a un Socrate che non sa nulla e che, per questo, indaga le pretese certezze altrui; mi pare molto più verosimile un Socrate ben cosciente degli agoni dialettici in voga ed attento a sfruttarne tutte le possibilità per portare avanti le sue idee.
L’atteggiamento del filosofo durante il processo è di sfida: egli sembra cercare lo scontro per ottenere non soltanto legittimazione al suo operato di una vita ma per sottoporre a processo la stessa città di Atene.
La richiesta di essere mantenuto nel Pritaneo a spese dello stato, a mio modesto giudizio, non è soltanto una forma di ironia e di sfida, ma è un programma politico e filosofico; con questa richiesta Socrate manifesta ad Atene l’idea che egli ha del suo lavoro di filosofo, di educatore delle coscienze dei giovani ateniesi.
Lui e lui soltanto ha tutelato la città, avendo cura del patrimonio di questa, la gioventù, e quindi a lui deve essere riconosciuta una funzione di stato, un riconoscimento solenne, non certo una condanna.
Di fatto si pone lui stesso come giudice del tribunale che chiama alla sbarra la città di Atene non a caso il termine giudici non viene quasi mai utilizzato da Socrate, che preferisce “cittadini di Atene”: quel che deve passare alla storia è la sua coerenza, fiat justitia pereat mundus verrà detto secoli dopo, che non può accettare compromessi, incrinature o mediazioni.
Probabilmente è corretto dire che è mancato l’appuntamento tra Socrate ed Atene: il filosofo non ha saputo (forse meglio: voluto) trovare parole diverse per sostenere il suo pensiero, la città non ha saputo cogliere le differenze coi sofisti e valorizzare quel che c’era di buono nel pensiero socratico.
Ma mi domando: c’era qualcosa di buono nel pensiero di Socrate?
Nella ricerca della virtù, egli ha sviato il pensiero, non primo né ultimo nella storia, ancorandolo all’idea di coerenza e di ricerca dell’ideale; i suoi dialoghi non sono assolutamente dialoghi ma monologhi in cui l’altro è ridotto ed espediente per l’esplicazione delle sue idee (e di quelle di Platone).
Confrontiamolo col pensiero di Giacomo Contri, che a proposito del suicidio eutanasico di Socrate sostiene che fu «ideale, educativo, edificante: infatti Platone propone la morte di Socrate, in unica confezione, come esibizione di virtù, o Ideale per tutti e specialmente per la “gioventù”: coerentemente con la Teoria dell’anima, cui il destino del corpo (suicidio o eutanasia) è moralmente indifferente.»
Parma, 19 luglio 2018 memoria di Sant’ Arsenio il Grande, Eremita, del Beato Achille (Achilles Jozef) Puchala sacerdote e martire e di San Giovanni Plessington sacerdote e martire