Come il milite ignoto, mi viene questo accostamento; comunque nel web si trova di tutto ed io ho trovato queste parole che mi sono piaciute:
“Mi muovo silente
Alla ricerca di un perchè …
La mia domanda rimbomba su pareti troppo spoglie
case sbarrate
gente che corre inconsapevole e indifferente
Non comprendo
Tutto era limpido pacifico sereno
Serve un motivo per la fine?
Il mio pianto è banale
Come tanti che mi hanno preceduto
E tanti che seguiranno
Cerco disperatamente una parola nuova
Con la quale trovare pace”
Mi ha colpito, in particolare, l’ultimo “verso” (penso sia una poesia): parola nuova con la quale trovare la pace. Isaia, al capitolo 46:
“Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti,
che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo;
essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti:
«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.
Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi”.
Ed il Salmo 125 (126) recita:
“Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti:
“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”.
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.”
Nell’andare se ne va e piange, il lavoro faticoso, dopo il peccato originale: pochi frutti con fatica e dolore, ma nel tornare – dopo la correzione – viene con gioia, portando i covoni: il pensiero guarito porta frutti senza dolore. Si comprende l’invito di Isaia a non pensare più a ciò che è passato – non è dalla storia che vengono le soluzioni – ma alla novità possibile oggi, sempre, in qualunque momento: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Pensavo alla terra promessa in cui scorrono latte e miele: il Padre non l’ha regalata ad un popolo di bambinoni come un pacchetto da scartare, già tutto bell’ e fatto; direi piuttosto che scorreranno latte e miele grazie al lavoro dell’uomo e in particolare il lavoro del sabato che non è il divieto di compiere tutta una serie di azioni, ma è pensato per proteggere l’uomo dalla non soluzione di pensare al solo lavoro come fatica e sudore della fronte.
Un altro lavoro è possibile, un lavoro di civiltà che in Freud sarà la bonifica dello Zuiderzee, non diverso dalla terra dove scorre latte e miele come descritta nell’Esodo e non è un caso che gli Ebrei impiegheranno 40 anni – quanto dura un’analisi? – per avviciniarvisi e nessuno di coloro che aveva iniziato il viaggio potrà entrarvi, nemmeno il Patriarca per eccellenza, Mosè.
Mosè e Freud miei amici ed anche l’ignoto poeta che mi ha fornito l’occasione.
Modena, 9 maggio 2011