Il sempre ottimo Francesco Gallina ha pubblicato un pezzo sul famosissimo Busillis dedicato ad una chiesa che ho potuto visitare recentemente grazie ad un altro ottimo personaggio di cui ho parlato pochi giorni fa, il mitico Tonino Ferrari (il post a lui dedicato ha avuto, e me ne compiaccio per lui, un grande successo di pubblico e critica; tantissimi hanno convenuto nel riconoscergli le qualità che ho descritto; mi rattrista soltanto il fatto che la gloria è sempre postuma, in questo caso successiva al suo trasferimento).
Non ho le capacità di Francesco, abilissimo nel descrivere, valorizzandolo, un luogo che merita sicuramente una visita approfondita; leggendo quanto ha scritto mi è venuta voglia di tornare, munito di macchina fotografica, a vedere un luogo che è, nel suo genere, il più grande in Italia e secondo solo all’Escorial (dove sono stato anni fa con le mitiche colleghe Roberta e Grazia) almeno per dimensioni, in Europa.
Di cosa parlo? della cappella ducale di san Liborio, a Colorno, dove lavoro.
Mi interessa questa annotazione “più grande” perchè fonte di possibili equivoci di rilievo.
Più grande viene riferito ad Allah, che ha evidentemente bisogno di differenziarsi da tutto il resto.
L’idea di grande mi fa venire in mente il barocco con le grandiose scenografie delle chiese che fanno sentire piccolo piccolo il fedele: il cristianesimo non è rimasto immune dal contagio islamista e mal gliene incolse.
Non diversamente l’inno tedesco “Deutschland, Deutschland über alles, / Über alles in der Welt,” con quell’über che tutto sovrasta, l stessa Germania ne è sovrastata.
In tutti i casi, che sia grande o sopra, l’idea dominante è l’irrelatezza, l’assoluto: emblematico è il caso di Allah che nella sua totale alterità si pone in radicale contrasto col Dio ebraico.
Quando nella Bibbia compaiono descrizioni di Dio come entità suprema o il più grande, in realtà il senso corretto è proprio quello di rapporto rispetto ad altri: il Dio ebraico è quello più forte o il più potente perchè è in paragone con gli altri dei, che è come dire che è conveniente essere suoi fedeli perchè con lui si hanno maggiori benefici.
Il Dio ebraico è un Signore imputato ed imputabile che, sebbene, potente e severo, resta legato ai suoi stessi decreti ed alla sua parola, la grandezza è un giudizio a posteriori sulla convenienza del rapporto con lui, non ne è un attributo astratto.
Noto che Gesù ha definito il Padre come uno che lavora, col quale ha particolare consonanza, ma mai che è il più grande, che sia un caso?
Giacomo Contri, nel marzo 2009, il 6 marzo precisamente, ben descriveva la fallacia del binomio grande piccolo:
” Da un piccolo utile libretto appena uscito
– John Maynard Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti, Adelphi 2009 –
cito (Guido Rossi):
“Dopotutto il suo mondo [quello di Keynes, tra le due Guerre e dopo la “Grande depressione”, ndr] era più piccolo del nostro, e l’unico risultato che i suoi nipoti – cioè noi – hanno ottenuto è di renderlo più grande e più instabile [sottolineature mie]”.
Non vedo il “più grande”, se non nei numeri o negli zeri di un’ameba ingrassata, ossia nel semplicismo progressivo della nostra conversione spirituale all’ameba:
la parola “globalizzazione” designa il fatto che il mondo tende al francobollo ossia a un insieme matematico, un quadratino con punti infiniti, banalità o gruppo (“villaggio”):
non ha nessuna importanza quanti miliardi siamo, né quanti e quante volte appariamo in televisione, né quanti sono i Presidenti di qualcosa.
Se esistesse il Grande Fratello, che non esiste né mai è esistito cioè è solo un nome della nostra debilità, avrebbe inventato tutto lui:
per obbligarci a pensare che non c’è da pensare che la crisi, che se vediamo gli “amici” a cena non abbiamo da parlare che della crisi.
Mai economia e psicologia sono state così tutt’uno, “depressione” con “depressione”, “panico” con “panico”:
plenitudo temporum.
La parola-chiave è il predicato astratto e delirante “grande”, ingiuria anche a “Dio” quando non è pensato altrimenti:
Dio “grande” è deprimente.
Nella cattiva notizia c’è una buona notizia:
con il francobollo anabolizzato da wrestling, il singolo, una volta individuata la grandezza del piccolo francobollo, ossia non più ingannato come i prigionieri di Platone, può misurarsi, con-misurarsi, facilmente, senza più classificarsi dalla parte del “piccolo”:
cattiveria della coppia grande-piccolo.
Ossia potremmo fare nostra l’arguzia incompresa dell’episodio di Davide e Golia:
in cui era chiaro fin dall’inizio che avrebbe vinto il “piccolo” svelto Davide contro il “grande” pesante Golia, come un elicottero Apache contro un carro armato antiquato:
un Davide pacifico avrebbe anche potuto proporgli, non la necessaria resa, ma l’eventuale pace della complessità contro un semplicismo guerrafondaio.
Non aspirate a essere grandi (capi, maestri, teorici), e non temete di essere piccoli perché non siete grandi:
peraltro oggi non ci sono più che capetti, aspiranti alla gestione del francobollo, e “piccoli che lo sono solo come carogne invidiose e paranoiche.”