Dopo l’antipasto della mostra di Canova di cui ho parlato nel mio post precedente eccomi al piatto forte, quello scrigno di capolavori che è la Pinacoteca Nazionale di Bologna, uno dei tanti luoghi magici che costellano questo disgraziato Belpaese.
All’ingresso sono stato accolto, con squisita cortesia da un giovane assistente di nome Vito che avrei volentieri invitato a cena per la disponibilità e l’attenzione che mi ha dedicato, quindi un plauso al personale che magari fosse sempre così adeguato al luogo in cui si trova a lavorare.
Le sue chiare e brevi spiegazioni mi hanno orientato negli spostamenti che sono comunque particolarmente semplici se consideriamo che non mi sono perso nemmeno una volta.
Ma veniamo al dunque: la prima parte delle collezioni è dedicata al passaggio dal Duecento al gotico, con opere di artisti emiliani tra i quali un anonimo che dipinge una Croce sagomata con la Madonna tra Angeli, San Francesco e Sant’Elena decisamente curioso: ho scoperto che la figura laterale, a sinistra, che è poi sant’Elena, è stata aggiunta successivamente, nel Quattrocento mentre in epoca più recente sono state sottratte le parti terminali; quel che mi ha colpito, tuttavia, è la rappresentazione del corpo di Gesù, con una muscolatura decisamente non molto corrispondente all’anatomia.
Ma ecco un delizioso san Giorgio e il drago, un tema classico, di Vitale da Bologna in cui il cavallo, che volta il muso spaventato forma una X col corpo del santo nell’atto di colpire, rendendo così movimentata e drammatica la scena, con la fanciulla salvata che assiste relegata al bordo quasi fosse un pretesto per lo scontro tra l’uomo ed il mostro.
Belle anche alcune opere dedicate alla Vita di Sant’Antonio (abate) e curioso un Martirio di santa Cristina, opera del Maestro dei Polittici bolognesi (Pseudo Jacopino) che ritrae la santa col seno scoperto, cosa che non ti aspetteresti, anche se siamo molto distanti dai sensuali nudi che caratterizzeranno il barocco.
Sono svariate le opere di questo maestro, tutte molto belle, come anche quelle di Vitale da Bologna: la Pinacoteca ospita una belle collezione di “Primitivi” ovvero di quei pittori, secondo una forse infelice definizione di Vasari, che hanno preceduto gli insuperabili maestri, sempre a suo giudizio, Michelangelo e Raffaello.
C’è molto oro nelle rappresentazioni di questi artisti, materiale e colore che io identifico con l’eternità, ma inizia anche a comparire la storia, fatta di emozioni e sentimenti che, probabilmente grazie alla predicazione e concorrenza tra gli ordini mendicanti del tempo – francescani e domenicani – cominciano ad emergere e ad imporsi.
Commozione ed invito all’immedesimazione rendono i personaggi meno ieratici e più umani, d’altronde non è forse san Francesco d’Assisi che “inventa” il presepe ovvero partecipazione attuale, qui ed ora, ad un avvenimento che è passato eppur presente, i cui effetti si dispiegano nell’oggi e chiedono a ciascuno di condividere i medesimi sentimenti dei protagonisti delle sacre rappresentazioni.
In questa ampia sezione c’è un polittico di Giotto, che doveva adornare le stanze del Palazzo apostolico destinato ad accogliere il Pontefice di ritorno dalla cattività avignonese (ma andato distrutto); una delle tre opere firmate (sul gradino del trono della Vergine), mi ha colpito per la figura (poco rassicurante) dell’Arcangelo Michele che sconfigge la Bestia.
C’è anche una curiosa rappresentazione del paradiso e dell’inferno, opera del Maestro dell’Avicenna, probabile miniatura degli affreschi della parete sinistra della cappella Bolognini in San Petronio, dipinti da Giovanni da Modena tra il 1410 e il 1445: come sempre, in questi casi, ad attirare non sono le uniformi schiere di angeli o anziani seduti in trono, ma la figura del diavolo e le rappresentazioni dei vari tormenti infernali che lasciano spazio alle bizzarrie dell’autore.
Poche volte viene rappresentato san Sebastiano, ma in una di queste fa la sua comparsa in una Madonna con il Bambino in trono fra i santi Margherita, Antonio Abate, Giacomo, Bartolomeo, Cristoforo e Sebastiano opera di ignoto pittore bolognese del XV secolo (Pietro di Giovanni Lianori?): siamo ben lontani ancora dalle rappresentazioni del bel giovane in pose plastiche dei secoli successivi, ma sono curiosi i capelli che scendono fino alle spalle, quasi che fosse un nazireo.
Un’altra opera che mi ha colpito è un Crocifisso, Croce sagomata col Pellicano, l’Addolorata, San Giovanni e Santa Cristina, di Giovanni Martorelli (attivo tra il 1390 e il1447) per via dei volti deformati e stravolti, quasi grotteschi dei personaggi.
La collezione di Crocifissi della Pinacoteca è notevole ed ogni singola opera è davvero degna di attenzione come quelle di Michele di Matteo e Giovanni di Modena.
Seguono gli affreschi tratti dalla chiesa di Santa Maria di Mezzaratta, opera di vari maestri, da Vitale da Bologna a Jacopo Avanzi.
Venendo al Quattrocento, mi sono gustato una splendida Madonna col Bambino di Cima da Conegliano ed un non meno bellissimo Polittico opera di Antonio e Bartolomeo Vivarini: di quest’opera ho letto che segna il passaggio tra il Gotico internazionale ed il Rinascimento, sia quel che sia, è un’opera davvero molto bella.
A proposito di passaggio tra Gotico e Rinascimento ecco rispuntare san Sebastiano, assieme a san Prospero, opera di Cristoforo di Benedetto: un santo ancora bruttino ma curioso per le tre frecce piantate in linea retta dall’ombelico allo sterno, non proprio credibili anatomicamente parlando.
Un altro san Sebastiano, stavolta di Antonio Maineri, fa bella mostra di sé, vestito di uno strano perizoma mentre una Madonna col Bambino di Marco da Palmezzano attira l’attenzione per la delicatezza dei toni.
Una Madonna tira l’altra ed eccomi di fronte alla Madonna col Bambino in trono, i Santi Agostino, Francesco, Procolo, Monica, Giovanni Battista, Sebastiano, il donatore Felicini e un Angelo musicante (Pala Felicini), opera di Francesco Raibolini detto il Francia, altra opera splendida per la ricchezza dei dettagli dipinti magistralmente.
Sempre la Madonna e san Sebastiano sono tra i protagonisti di un’opera di Amico Aspertini, Madonna col Bambino in trono, i Santi Giovanni Battista, Girolamo, Francesco, Giorgio, Sebastiano, Eustachio e due committenti (Pala del Tirocinio) che risente di influenze fiamminghe e rappresenta i vari personaggi come se non fossero altro che comparse mal amalgamate.
Tutte le opere, belle e meritevoli di visita di cui ho accennato finora sono surclassate, quanto a fama, da quelle cui inizio ora a raccontare qualche dettaglio; la prima è la celeberrima Estasi di Santa Cecilia fra i Santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena di Raffello Sanzio.
L’opera, una di quelle trafugate dall’arcifarabutto Napoleone, recuperata da Antonio Canova, venne commissionata da Elena Duglioli, nobildonna bolognese poi beata, che aveva ispirato la propria vita a quella della santa, vivendo, in accordo col marito, la castità matrimoniale.
Non vorrei ripetermi in descrizioni che altri hanno fatto e molto meglio di me, ma è cosa buona evidenziare l’unicità della natura morta di strumenti musicali ai piedi della santa, tutta dedita alla contemplazione del cielo, attorniata da altri santi che si pongono in modo da ricordare una cantoria o l’abside di una chiesa.
C’è anche una bella opera di Pietro Vannucci detto il Perugino, Madonna col Bambino in gloria e i Santi Giovanni Evangelista, Apollonia, Caterina d’Alessandria e Michele Arcangelo, in cui tutti i personaggi sono ritratti con estrema delicatezza e dolcezza.
C’è anche Parma presente nella Pinacoteca nazionale di Bologna, grazie a Parmigianino con Madonna col Bambino e i Santi Margherita, Girolamo e Petronio, ma eccomi a una copia di un altro celebre capolavoro di Raffaello, San Giovanni Battista, per passare poi a Tiziano Vecellio, un molto bello Gesù Cristo e il buon ladrone.
Nemmeno le donne mancano in Pinacoteca, Lavinia Fontana ad esempio, con un interessante ritratto di famiglia che unisce, in realtà vivi e defunti, La famiglia Gozzadini, ed un Bambino giacente, delicato ritratto di un bambino, a letto.
Ovviamente molto rappresentati sono i Carracci, fondatori dell’Accademia degli Incamminati: le loro opere sono tutte meritevoli di attenzione ma quella che ricordo con maggior vividezza è una tela di Ludovico Carracci, San Pietro Toma crocifisso: di questo santo non ho trovato quasi nulla (il che è strano) ma l’opera è davvero notevole soprattutto grazie all’artificio delle vesti scompigliate e svolazzanti che sembrano far librare nell’aria il santo.
Da osservare, ancora un parmigiano, di Giovanni Lanfranco, Sansone che sbrana il leone che oggi farebbe infuriare gli animalisti ed un bel Il ritorno del figliuol prodigo di Lucio Massari.
Com’è giusto che sia, molte sono le opere del famosissimo Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino; tra le tante ho apprezzato un san Giuseppe dai toni molto delicati che mi ricorda un’opera simile conservata a Rimini ma è Guido Reni che mi affascina e conquista.
Parto dall’Arianna, frammento di una tela molto più grande probabilmente fatta a pezzi per essere meglio rivenduta e protagonista di una storia tragica e travagliata poiché destinato a Henrietta Maria di Borbone moglie del decapitato Carlo I Stuart, re d’Inghilterra che l’ha poi rivenduta per pagare i propri debiti.
Arrivo al Beato Andrea Corsini, straordinario ritratto del beato con lo sguardo rivolto al cielo, avvolto in vesti e mantello che gli conferiscono una sontuosa solennità in contrasto con lo spoglio fondale.
Un’altra opera, che è un capolavoro, è il Ritratto di gentildonna (la Madre), forse la madre, che è ritratta con un’abilità davvero da artista di straordinario rilievo: lo sfondo spoglio, come nel beato Andrea Corsini, porta in primo piano l’abito col velo che induce a soffermarsi sul volto, intenso, di una persona decisa, abituata a scrutare gli occhi altrui e a dare ordini.
Ma Guido Reni non si ferma a questo e la Pinacoteca ci offre un san Sebastiano che esibisce il suo corpo seminudo mentre volge lo sguardo al cielo un momento prima del martirio.
Ci aggiungiamo anche un Cristo coronato di spine, che, anche in questo caso, volge lo sguardo al cielo con dolce tristezza, stesso sguardo al cielo che lo accomuna alla splendida Sibilla, un ritratto bellissimo.
Prima di arrivare ad una delle opere che mi ha letteralmente incantato, c’è l’imperdibile Strage degli innocenti, un momento sospeso in cui la tragedia sembra al culmine e, nel contempo, eterna.
Eccoci ad una delle mie opere preferite (stranamente non a carattere religioso), il Sansone vittorioso: la storia è nota, quella del giudice di Israele dotato di forza sovrumana che uccide mille filistei con una mascella d’asino; nella scena, uccisi i nemici, che giacciono ai suoi piedi, Sansone beve appunto da una mascella d’asino il che è spiegabile per via di un’errata traduzione del testo biblico che ha fatto confusione tra il luogo ove è avvenuto l’eccidio (monte Mascella) con lo strumento utilizzato cosicché ne è venuto un Sansone che beve acqua dalla mascella dell’asino come se scaturisse da quest’ultima.
Ma al di là della storia, è la figura del vincitore che è splendida, rappresentazione fantastica di un ideale di perfezione ed armonia che lascia davvero a bocca aperta.
Dopo il fantastico Guido Reni rieccomi a Guercino col San Sebastiano curato da Irene, una bella opera che non potevo ignorare visto il soggetto protagonista, notoriamente santo protettore della categoria professionale cui appartengo; proseguo con un bel autoritratto di Francesco Albani e Morte di San Benedetto di Domenico Maria Canuti, un po’ troppo scenografico ma niente male almeno per i miei gusti notoriamente e decisamente lontani dalla sobrietà.
Simpatico La Pittura regge l’autoritratto del pittore di Gian Domenico Cerrini: una bella e svestita fanciulla di classiche fattezze regge il ritratto dell’immodesto pittore mentre alle sua spalle, come oscuro sfondo si intravede l’invidia che sembra dedicarsi ad una delle poche occupazioni cui si concede, rosicare.
Un’altra bella opera, di Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, Caino e Abele, attira lo sguardo: il corpo seminudo e luminoso nel suo biancore di Abele occupa la scena mentre Caino fugge di spalle, figura indistinta che potrebbe rappresentare ciascuno di noi.
Qui mi fermo perché il Settecento è un’epoca che da sempre non mi piace, non so spiegarmi il motivo di questa antipatia ma la pittura settecentesca, almeno in buona parte, non mi convince, sembra perdere vigore, rispetto al stagione barocca, così solenne e magniloquente.
Ho molto trascurato, sono stato sommario, probabilmente impreciso e noioso, me ne scuserà chi riuscirà ad arrivare fino a queste righe: spero solo di aver fatto venire voglia a qualcuno di recarsi sul posto a visitare questo luogo straordinario che è la Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Bologna 6 febbraio 2022 memoria di san Paolo Miki e compagni martiri