Sembra che il gran giorno delle dimissioni si stia avvicinando a grandi passi, nonostante i saliscendi di questo periodo.
Passerò ferragosto in ospedale e non me ne lamento, avrei soltanto bisogno di riposare un po’, come non riesco a fare da tempo, salvo brevissimi intervalli come la gita a Siena di quasi due mesi fa.
Il ferragosto in ospedale trascorre, ed era ovvio, come ogni altro giorno, respirando un’aria che comincia a profumare di libertà; ancora un po’ di contrattempi ma la strada sembra essersi indirizzata nella giusta direzione.
Come ogni commiato che si rispetti, non possono mancare saluti e ringraziamenti, la cui sincerità è certificata dal fatto che presumibilmente nessuno dei coinvolti li leggerà mai.
Innanzitutto io ricordavo, nella mia giovinezza o infanzia o comunque chissà quando, l’ospedale come un luogo in cui figure impersonali tenevano le distanze, allontanando tutti, durante le visite, con modi bruschi e scortesi.
Questa impressione è stata spazzata via, spiegherò poi come.
Dunque parto da tutto il personale del reparto di ginecologia dell’Ospedale Maggiore di Parma: dalle OSS (operatrici socio sanitarie), alle infermiere – sia quelle di reparto sia quelle e quelli di rincalzo, prelevate dalle sale operatorie: tutte sono state (ci inserisco anche i pochi uomini) sempre molto attente, disponibili, pazienti, efficienti, cortesi; mai sbrigative o superficiali nell’esecuzione dei compiti o nel trattamento delle degenti. Ringrazio particolarmente l’infermiera che si chiama Maria, ex collega di mia madre, che è stata davvero un angelo custode.
Davvero tutte e ciascuna sono state straordinarie.
Vengo al personale medico: i vari specializzandi sono stati sempre gentilissimi ed in particolare la dottoressa Monica, sempre attenta e cordiale.
Infine dedico un po’ di spazio al personaggio clou della vicenda, al dottore ottimo massimo che si è preso in carico una non facile paziente come la mia augusta genitrice.
Parlo del dottor Roberto Berretta, giovane chirurgo con la faccia da burdèl (in romagnolo bambino) ed il ciuffo svolazzante da direttore d’orchestra scapigliato.
Sin da subito, ben prima del ricovero, quando ha visto per la prima volta mia madre, si è dimostrato deciso, con le idee chiare e con un programma terapeutico sempre condiviso.
Il programma che ha attuato in collaborazione col dottor Gian Paolo Bacchini ha avuto risultati ottimi, così che ad entrambi va la mia più profonda gratitudine.
L’intervento è andato nel migliore dei modi ed i giorni successivi hanno visto il dottor Berretta presente con costanza, attenzione e puntuale comunicazione ai parenti (cioè a me).
Di estrema cortesia anche verso di me, sorridente e affabile; quando è di corsa (cioè sempre) mi ricorda un po’ il dottor Tersilli, con codazzo al seguito: su questo potrebbe trarre qualche spunto di riflessione.
Mi permetto questo irriverente paragone non per sminuire l’ottimo medico cui va la mia stima ma perchè lo percepisco abbastanza vicino a me sia per la presenza continua al lavoro, sia perchè spesso lo sentivo cercato da tutti (dov’è il dottor Berretta? c’è il dottor Berretta? Roberto dov’é?) come se l’intero reparto gravitasse attorno a lui (non me ne vogliano gli altri, non meno competenti, suoi colleghi).
Per molti versi mi accade qualcosa di simile (isp hai letto la relazione? isp è passato quel tipo cui ho detto di chiedere di te? isp hai presente quel tipo che ho fermato due mesi fa? isp quel quesito?) anche se io non salvo vite e la mia clientela non mi colma di entusiastiche attenzioni.
Ha la stoffa da leader e gli auguro di realizzare i sogni che spero abbia il tempo di coltivare.
Sia lui che il dottor Bacchini hanno contribuito a dissolvere i ricordi da ambiente austero, ottocentesco, dell’ospedale.
Entrambi cortesissimi (il secondo più timido), mi hanno spesso stretto la mano, gesto per me inconsueto da parte di un medico e capace di stupirmi; il dottor Berretta addirittura, mi ha stretto un avambraccio, gesto quasi da confidenza amicale; ha dato buffetti nelle guance a mia madre; il dottor Bacchini dandomi il suo numero di cellulare (che ho usato con la parsimonia del caso) … mi hanno offerto l’occasione per ripensare al ruolo del medico ospedaliero.
Evidentemente non tutti sono così, questo è chiaro, ma ho trovato un ambiente, in linea di massima sereno, scevro da inutili polemiche (come spesso accade sui luoghi di lavoro ed in presenza di tante donne) e ben orientato al paziente.
Nella giornata ho ricevuto, poi, due telefonate particolarmente gradite: quella di Galloncino (che aveva a fianco la mitica Antonella, santa subito) e quella, del tutto inaspettata e gradita come poche altre, del mio adorato commissario Superpiù, ovvero Andrea Piselli, uno dei pochi superiori gerarchici di cui ho stima umana e professionale.
Lavorare con lui è una delle esperienze che più mi ha arricchito sia a livello professionale sia a livello di rapporti umani perchè è persona di cultura e spiccato senso dell’umorismo.