Sto prendendo un brutto vizio ovvero: non esageriamo!
Ho ancora in mente la solenne celebrazione di domenica scorsa quando mi ritrovo, per la Messa vespertina, nella mia parrocchia consueta di Parma, san Benedetto.
Arrivare e trovare la porta centrale spalancata significa che qualcosa di importante succederà; il gran numero di persone all’interno mi conferma che si sta per celebrare qualcosa di significativo: frugo nei meandri della mia stanca memoria alla ricerca di una qualche motivazione ma nulla mi viene in soccorso, non ci sono ricorrenze particolari né salesiane né diocesane.
La chiesa è quasi piena per cui individuo un banco con un pio di persone sedute e mi avvicino, chiedo cortesemente al signore a me più vicino se posso accomodarmi e lui risponde, non meno gentilmente che posso; non faccio in tempo a piegare le mie stanche ginocchia che lui si alza e si trasferisce un paio di banchi più avanti: vabbè che non sono una bellezza e non ero nemmeno vestito in modo particolarmente ricercato ma non avrei mai pensato di provocare un effetto così dirompente.
Tanto meglio, me ne rimango quasi solo quindi più comodo, cosa che non mi dispiace affatto.
Nemmeno dal foglietto della liturgia (orribile ma utile per i testi delle letture) qualcosa soccorre alla mia ignoranza, ma ormai è l’ora e l’arcano è in via di svelamento.
Inizia la solenne processione con tanto di vescovo e 6 o 7 sacerdoti, presiede la celebrazione Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma, abate di Fontevivo.
Il motivo di tanta solennità è presto svelato: habemus parrochum; è arrivato il nuovo parroco e la Messa è quella di presa di possesso della parrocchia.
Celebrazione che mancava alla mia collezione.
Viene letta la bolla di nomina a parroco, con tanto di articoli del Codice di diritto canonico, benedizione del parroco, insomma cose fatte come si deve.
Il nuovo parroco è Don Maurilio Biella, ovviamente a me sconosciuto.
A lui il benvenuto in questa difficile, secondo me deprimente, parrocchia che vide (san) don Lino Bin come grandissimo parroco.
Purtroppo aizzati dal direttore dell’istituto i fedeli si lasciano andare ad un applauso che poi ripeteranno altre tre volte nel corso della celebrazione, ma inutile arrabbiarsi, queste barbare concessioni allo spirito volgare del tempo sono inarrestabili.
Il primo lettore, una ragazza che legge tutti i sabati, pur bravissima non ha ancora una padronanza della lingua che le permetta di superare alcuni insidiosi ostacoli per una straniera, per cui la lebbra che aveva afflitto Naaman è divenuta labbra, il che in fondo non è sbagliato visto che era stato guarito, mentre l’olocausto si è trasformato in qualcosa di incomprensibile.
Inezie.
Quel che mi ha guastato la celebrazione è stata la battuta finale del Vescovo che, riferendosi al parroco di provenienza milanese, ha commentato con l’auspicio che venisse dalla sponda buona, calcisticamente.
Un obbrobrio, imperdonabile per un vescovo; san Giovanni XXIII vietava ai sacerdoti della sua diocesi, cioè Roma, di frequentare gli stadi: andava fatto santo fosse solo per questo.
Bravi i coristi diretti dal maestro Niccolò Paganini ma vista la solenne occasione almeno un canto in latino no?
Rimando a settembre l’alto prelato (che non ha celebrato male, in fondo) mentre io mi prendo una pausa dalle celebrazioni così solenni (e lunghe); non esageriamo, appunto.
Due super Messe da oltre un’ora in una settimana rischiano di schiantare le mie passioni liturgiche.
Peraltro stamattina un collega, riprendendo l’argomento della Messa solenne di riapertura del duomo di Guastalla, mi chiedeva se fossi credente; ho lasciato in sospeso la risposta ma mi è sorta una domanda correlata: credente in che cosa o in chi?