Al Neues Museum di Berlino c’è Nefertiti e le collezioni egizie, infatti non a caso il suo nome è Ägyptisches Museum und Papyrussammlung.
I reperti esposti sono di grandissima bellezza; in particolare mi hanno affascinato i volti ritratti dei cittadini romani che, vivendo in Egitto, si sono adeguati a quegli usi e costumi, facendosi imbalsamare; sulle loro mummie ci sono questi ritratti, ben conservati grazie al secco clima dell’Egitto.
Sono immagini di volti, davvero molto belli, che non trasmettono tristezza; sembrano le foto che si usa mettere oggi sulle lapidi al cimitero: in materia funeraria non abbiamo inventato nulla.
Volti freschi, seri, tranquilli; ciascuno di questi potrebbe offrire lo spunto per un romanzo; di ciascuno sarei curioso di conoscere la vita, purtroppo decisamente breve almeno nella gran parte dei casi.
La regina del museo è la straordinaria Nefertiti, “la bella che viene”, col suo busto che ricordo di avere visto sui libri di scuola, il secolo scorso. Le immagini non rendono la bellezza di un’opera che lascia davvero a bocca spalancata; purtroppo il busto del marito, anch’esso esposto, è stato devastato.
Nefertiti fu la consorte di Akhenaton, il faraone eretico che istituì il culto del dio sole, come divinità unica, insomma l’iniziatore del monoteismo da cui potrebbe avere tratto origine anche quello ebraico di origine mosaica.
Unico reperto non fotografabile con mio grande dispiacere perchè mi sarebbe piaciuto immortalare un viso così straordinario.
Viene qui custodita anche l’enigmatica testa verde di Berlino, un volto d’uomo di pietra di colore verde, da non perdere.
Poi alcune statue cubo ovvero cubi in pietra levigata e scolpita da cui emerge spesso solo la testa attirano l’attenzione; in particolare c’è quella che ritrae Senemut braccio destro della regina Hatshepsut (una donna faraone o faraona? chissà come hanno sbrigato la faccenda gli scribi del tempo) e tutore di sua figlia Neferura.
Secondo l’audioguida questo potentissimo collaboratore della faraone sarebbe caduto in disgrazia e condannato alla damnatio memoriae (come succederà alla stessa Hatshepsut) che nel caso della statua veniva attuato con la rottura del naso, cosa che avrebbe impedito la respirazione dell’effigiato, ovviamente unita alla cancellazione del nome.
Curiosa questa cosa della cancellazione del nome: gli ebrei vittime dei lager nazisti venivano privati del nome e ridotti a numeri; il tatuaggio del numero non lasciava presagire nulla di buono perchè rappresentava anche visivamente il passaggio o declassamento dal regime umano a quello oggettuale.
Molto bella anche la statua del ragazzo che serve, destinata a reggere vassoi colmi di delizie con le quali si accoglievano gli ospiti nelle ville romane; il ragazzo è nudo e questo è un po’ inquietante sebbene sappia che la pedofilia a Roma era diffusa e praticata in maniera assai estesa.
Tutto è davvero bello e meriterebbe miglior descrizione, ma decido di chiudere qui col cappello d’oro.
Berliner Goldhut è il suo nome tedesco: è un oggetto della fine dell’età del bronzo che pesa quasi mezzo kg.
Guardandolo pensavo a Gandalf o al sire di Gondor sul cui capo ben avrebbe potuto far bella mostra di sè; in realtà pare avesse funzioni astronomiche poichè vi sarebbe rappresentato un calendario lunisolare, come quello attualmente utilizzato in Israele. Cappello davvero curiosissimo.
Per visitare tutto salto il pranzo, non bevo nemmeno un sorso d’acqua per tutta la giornata (e farò sempre così nei giorni successivi).
Anche al Neues Museum c’è un’ottima audioguida in italiano, ultima, purtroppo, della serie; gli altri musei non ne hanno che in tedesco e in inglese.
[nggallery id=203]