Erano più di 20 anni che non mettevo piede nel Duomo di Parma, per partecipare ad una celebrazione liturgica; stamattina ho interrotto il digiuno ed ho accompagnato mia madre alla Messa, proprio in Cattedrale, interrompendo l’abitudine di andare nel pomeriggio alla Steccata.
La chiesa, illuminata a festa, mi è particolarmente piaciuta, non la ricordavo così bella, con gli affreschi che danno il meglio di sè, quasi a voler sottolineare, con il loro splendore, che l’esperienza cristiana è permeata dalla bellezza.
Bellezza non come trascendentale (quella non esiste oppure è la stordente bellezza che abbacina e schiaccia del barocco – come ha sinteticamente e ottimamente indicato Gabriele Trivelloni nel commento al mio post precedente “Non è vero niente”) ma come trattamento delle cose e delle idee per rendere gradevole la convivenza umana: l’uomo sarebbe più misero senza il Duomo di Parma.
La Chiesa, prima di smarrirsi in tempi recenti, ha sempre avuto grandissima attenzione alla bellezza delle chiese, delle decorazioni, degli arredi, indicando ad ogni uomo la possibilità di lavorare per creare un mondo migliore, da ogni punto di vista.
Mi aspettavo una celebrazione che fosse all’altezza del luogo ed invece sono rimasto assai deluso: non un grammo di incenso, non un canto in latino, il vescovo quasi in tono dimesso.
Lo ammetto, io propendo per le celebrazioni solenni, dalle quali possa trasparire, oltre alla bellezza, il pensiero autorevole del padrone di casa, un tal Gesù che amava essere trattato bene ed onorato come si conviene ad un partner al quale si tiene: l’amore non è sentimento intimo, ma rapporto formale, un caso in cui sostanza e forma non possono non coincidere a pena di dolorosi inganni ed efferate crudeltà.