Anche quest’anno è Natale ma mai come quest’anno soffro questo compleanno senza il festeggiato; non che sia stato preso dalla frenesia di regali o impegni particolari, tuttavia mi trovo un po’ a disagio a sentire i soliti discorsi sull’essere più buoni o a partecipare alle varie occasioni di festeggiamenti che, sebbene ricordino il Natale, lo svuotano e banalizzano.
Devo ammettere che non ho mai amato particolarmente il Natale, il che è un grave errore teologico, probabilmente perché cade in quel periodo dell’anno che io amo poco (tanto che vorrei emigrare da ottobre a maggio) col freddo e la scarsa luminosità delle giornate.
In realtà il Natale è festa importantissima perché legata all’incarnazione, cioè alla carne, al corpo umano che un certo Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha pensato di assumere, trovandosi bene.
La storia ne è rimasta segnata indelebilmente, nonostante tutti gli sforzi fatti per eliminare questa incredibile novità o, comunque, per trasformarla in un evento religioso edulcorato.
San Giuseppe è stato un borghese, come tanti, che, ottemperando all’ordine del governatore romano Publio Sulpicio Quirinio (che eseguiva la volontà di Augusto), si era recato a Betlemme, sua città di origine, per il censimento previsto per le province di Siria e Giudea.
Qui aveva trovato difficoltà di alloggio visto che il censimento aveva convogliato in città numerose persone.
Una prima notazione: non sappiamo come la pensasse, il nostro Giuseppe, ma di certo è stato obbediente all’autorità romana; tralasciando le discussioni tra gli storici, quel che è certo è che il censimento romano sanciva la sottomissione del popolo ebraico ed era, quindi, un’attività blasfema perché solo a Dio era riservato lo stabilire il censimento, ma Giuseppe si sposta a Betlemme a compiere il suo dovere.
Qui nasce Gesù, un bambino che diventerà col tempo un dottore importante ed un pensatore così scomodo che il clero ebraico farà di tutto per metterlo morte.
I potenti del momento non avevano riflettuto sul fatto che una volta che un pensiero è stato formulato è impossibile “farlo fuori” – la stessa ingenuità che ha caratterizzato poi gli imperatori romani delle persecuzioni, gli inquisitori e tutti coloro che hanno tentato di eliminare un’idea mediante la coercizione e la censura.
Gesù ha rappresentato una novità inaudita per via del suo dichiararsi in ottimi rapporti con un tal Signore di cui si è detto Figlio ed erede (a babbo vivo), facendo fuori d’un colpo la religione come rapporto di sottomissione e rinuncia al pensiero (e alla soddisfazione) via sottomissione in attesa di un premio futuro.
La sua nascita, inoltre, ha una caratteristica straordinaria: Il Figlio del Signore assume la carne, cioè il corpo ed il tempo.
Quanto al corpo: se avesse voluto comportarsi da Dio ben avrebbe potuto apparire in spirito (senza sporcarsi così le mani) e dare gli ordini ritenuti opportuni, sottomettendo i buoni come i cattivi, ma questa logica divina non gli è mai piaciuta tanto che l’ha affrontata e liquidata più e più volte: nell’Incarnazione (assunzione della carne, sottomissione al tempo, principio di piacere), nelle tentazioni nel deserto (buttati dal Tempio), nel momento della cattura (più di 12 legioni di angeli), nel momento della crocifissione.
Il tempo: qui si pone il rapporto col lavoro, con la cura, l’avere cura e la questione del kairos (rispetto al kronos) di cui ho già parlato in altre occasioni.
Tempo e lavoro sono indissolubili ma il lavoro non è solo quello del sudore della fronte.
Riprendo uno spunto dalle riflessioni di Giacomo Contri: i Re Magi che vanno ad adorare Gesù gli offrono doni importanti, oro incenso e mirra, come tutti sappiamo, regali che oggi non penseremmo certo adeguati per un bambino.
Chiudo con un augurio: ad ogni persona, ad ogni uomo, in qualunque condizione si trovi, auguro di ricevere in dono oro, incenso e mirra, cioè di ricevere un trattamento che ricordi (e risvegli) lo statuto di partenza: ricchezza, sovranità, non obiezione (cioè preclusione) a ricevere da altri un trattamento da sovrano.
Se questo è l’augurio valido per ogni uomo, esso vale a maggior ragione per gli amici; per questi gli auguri non sono la trita ripetizione di una frase vuota di significato come “Buon Natale” o “Buone feste”, ma la speranza che per tutti e ciascuno di loro la nascita di Gesù sia quella novità che ha talmente inciso da cambiare la storia (c’è stato un prima e un dopo Christum natum), anche la storia personale di ciascuno di noi.
Quindi spero che sia un vero Natale per Gabriele T., Silvia S., Umberto F., Luana Z., Agostino B., Stefano M., Davide Z., Marco G., Stefano B., Ivano S., Roberta B., Silvia S., Cristian C., Cristian R., Danilo S., Fiorella A., Claudio C., Paolo F., Jader B., Marta, Piero C., Loris M., Valentina e Nicola, Alessio, Lorenzo, Gaspare, Serena, Miranda, Maurizio, Angelica, Alberto, Gianluca, Daniele, Sergio, Elisa F., Cristina F., Lulù F., Tommaso F., Francesco G., Marco G., Francesco, Stefania, Sabrina M., Fabio M., Paolo P., Andrea P., Andrea R., Michele T., Giuseppe Z., don Piero S.
Ne trascuro altri, questo è certo, ma che mi ha conosciuto tra Livigno, Cesena, il riminese, Modena, l’area reggiana e Roma, saprà perdonarmi.
Dedico due righe ad una persona che è diventata (e lo speravo) speciale; non ne faccio il nome per non metterlo in imbarazzo, ma da qualche tempo a questa parte abbiamo iniziato a sentirci telefonicamente con una certa frequenza e la cosa mi riempie di grande consolazione; gli feci, tempo addietro, una proposta che mai avrei pensato accettasse e invece, l’ha accettata subito, senza esitazione; da questo ne sortirà a breve qualcosa di buono per cui sono in fibrillazione da settimane.
Nelle mie speranze questa persona potrebbe ricevere idealmente la fiaccola da Federico, ma non aggiungo altro, non è bene essere precipitosi.
Auguri anche a Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Enrico Solmi Vescovo di Parma, che mi ha concesso, quest’anno, l’onore di approfittare della Sua conoscenza, con una delicatezza e cortesia che mi hanno commosso.
Ultimi, ma non ultimi, mio fratello con mia cognata, i super nipoti, i cugini e le cugine, la super zia mia omonima.
Una considerazione finale: dopo vari anni, questo è il primo Natale che festeggio senza poter scambiare fisicamente gli auguri con Federico; li faccio alla sua famiglia ed ai suoi colleghi ma anche a lui, non perché ne abbia bisogno ma perché interceda, per noi che della sua amicizia abbiamo ancor più bisogno di prima.
Mi e ci manchi.
Federico, come il professor Maurizio Malaguti, Freddy (Gianfranco Ricci), Attilio Sebastiani, don Lino Bin e i tanti altri (penso a Giacomo, Emilio, Roberto e tanti altri ancora) che ho conosciuto e stimato, spero lavorino per noi.
A tutti e ciascuno che sia un Santo Natale.