Museo di storia della psichiatria è un titolo leggermente altisonante per descrivere un padiglione, il Padiglione Lombroso, dell’ex manicomio poi ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, a San Lazzaro; in ogni caso avevo intenzione di visitarlo e così ho fatto.
Contrariamente al consueto ho deciso di avvalermi di una guida, condivisa con una coppia di cortesi coniugi modenesi, davvero gentili, così come lo è stato la guida stessa, cortese e competente.
L’inizio, come ogni buon inizio, inizia dall’inizio (acuta considerazione, eh), dalla storia del complesso che sorge attorno al 1217 come luogo di ricovero dei lebbrosi; la scelta del luogo, ad est, è dovuta alla diffusa convinzione che i venti che andavano da ovest a est avrebbero preservato il centro dal contagio.
Il nome del santo eponimo è garanzia di presenza della peste: non a caso anche Parma ha il suo quartiere di San Lazzaro (un tempo addirittura comune autonomo, poi inglobato nel capoluogo) esattamente ad est della città anche se i mattacchioni Parma li inviava in quel di Colorno.
Da lazzaretto via via si evolve fino ad arrivare ad ospitare anche i pazzi, cosa che trova la prima certificazione nel 1536; diventa poi il manicomio del Ducato di Modena e Reggio e, infine, manicomio dello stato italiano, poi quello che è conosciuto come manicomio criminale, ovvero ospedale psichiatrico giudiziario, per concludere così la sua storia, a seguito delle innovazioni basagliane.
La storia è molto più complessa ma è bene che la sentiate raccontare dal simpatico giovanotto che accompagna (l’ingresso è gratuito, la guida no e l’importo viene diviso tra i partecipanti); sarà lui ad accompagnarvi nelle sale ove mostrerà alcuni pezzi testimonianze del passato, specie del periodo in cui l’approccio scientifico era quello positivista.
Davanti agli occhi dei visitatori si presentano alcune attrezzature decisamente curiose: da una sedia per la riabilitazione, alle camicie di forza, dalle catene, alle manette, al casco del silenzio (che impediva di urlare e al collare che impedisce di morsicare.
Particolarmente curiosa, poi, una macchina che non avrei mai pensato potesse esistere per le cure psichiatriche, il bagno di luce: il paziente veniva rinchiuso – ne fuoriusciva solo il capo se non ho male inteso, in questa sorta di sarcofago al cui interno brillavano decine e decine di lampadine, il cui calore veniva rimandato dalle pareti specchiate.
Non possono mancare alcuni esemplari di macchine per l’elettroshock – fisse o portatili – gli strumenti per aprire i crani in modo da asportare il cervello e poterlo studiare, ma anche gli oggetti prodotti dai rinchiusi che potevano essere dedicati al lavoro.
Un bel percorso di quasi un paio d’ore di visita che vale la pena.
Noto fuggevolmente che mai ho sentito citare Freud.
Reggio Emilia, 4 giugno 2023, Solennità della Santissima Trinità