il muro e gli Hohenzollern: secondo giorno a Berlino

E fu sera e fu mattina: secondo giorno.

In casa del mio ospite c’è un nuovo “inquilino”: un giovanotto della Germania del sud che molto cortesemente e simpaticamente viene a presentarsi e a salutarmi: si chiama Florian; mi chiede da dove vengo, si ricorda di Parma associandola al prosciutto (molto meno per il parmigiano, purtroppo); con lui e il padrone di casa mi lancio in serrati dialoghi in inglese totalmente surreali perchè forse Florian lo parla bene ma nè io nè Mirko ne abbiamo padronanza. Mirko, in particolare, per spiegarsi usa strani sbuffi sonori che sostituiscono parole sconosciute mentre io, da buon italiano, gesticolo in abbondanza; ciononostante la mia autostima linguistica aumenta vertiginosamente.

Il secondo giorno è dedicato, almeno all’inizio al muro, il famosissimo e distruttissimo muro di Berlino.

Antonio mi aveva consigliato di andare a Warschauer Straße e avrei mai potuto disattendere una così preziosa indicazione? Mi prendo la solita metropolitana e via; arrivato a destinazione mi faccio un’ottima colazione con uno strano dolce, lungo stretto e vagamente ripieno di qualcosa; la mia richiesta di avere un caffè (tedesco bleah) col latte tiepido cozza contro lo sguardo incredulo della commessa che mi squadra come se fossi un totale irrecuperabile idiota. Capisco poi il perchè: il loro caffè viene fatto da un erogatore automatico per cui non è possibile scegliere alcuna variante se non la quantità (big or little); con le dita quasi ustionate della bevanda mi metto a traversare il ponte Oberbaumbrücke.

Cammino per un bel po’ senza trovare alcuna indicazione del muro allora decido di chiedere informazioni a una graziosa e gentile signorina che mi spiega sommariamente che … devo tornare indietro: il muro è da tutt’altra parte, il mio fumoso senso dell’orientamento ha colpito ancora una volta.

Ripercorro il tragitto ma non trovo nulla che mi dia indicazioni quando, finalmente, un baldo giovanotto biciclettuto, fermatosi al semaforo e da me accalappiato, mi dice che è a due passi: era ora.

Trovo, finalmente, il famoso muro, completamente invaso da murales di vario genere, con tanto di negozietto di souvenir.

Ne ho un’impressione pietosa, come di qualcosa che sia stato troppo velocemente messo da parte, banalizzato.

Sembra sia stato vittima di un’improvvisa esplosione di gioia ma poi lasciato lì come una sorta di relitto, come se non ci fossero più muri in giro.

Tornato dal muro mi dirigo al Berliner Dom ma, prima, fotografo senza sosta la fontana di Nettuno, Neptunbrunnen, che trovo dove nell’area verde attorno alla colonna della TV e di fronte al Rotes Rathaus o municipio rosso, imponente sede del sindaco e del governo della città stato di Berlino.

Il municipio rosso ricorda Bologna e Ferrara anche se i nostri palazzi sono decisamente di incomparabile eleganza rispetto a questa enorme costruzione, così come la fontana del Nettuno è una pallida  imitazione dei capolavori berniniani di Roma.

Sempre in zona si trova una tappa intermedia, ma di grande interesse: la  Marienkirche, che custodisce quanto resta di una famosa danza macabra che si intravede dietro i vetri protettivi che rendono le figure ancor più esangui di quanto già non siano.

Adesso tocca al Berliner Dom, con entrata, per me, gratuita.

Qui mi interessano le tombe degli  Hohenzollern, il cosiddetto Hohenzollerngruft; prima però visito l’intera chiesa ed in particolare salgo ai piani superiori; preso dalla foga di vedere tutto il possibile decido di salire verso la cupola: mal me ne incolse perchè il percorso è obbligato e, una volta entrati nel periglioso tratto non è possibile tornare indietro. La visita, fino a istante prima piacevole, diventa improvvisamente un incubo perchè sono costretto a salire fino all’esterno, percorrendo scale (che non mancano mai) anguste che mi provocano una sorta di attacco di panico. L’angoscia è fortissima, le palpitazioni mi squassano, sudo copiosamente ma devo proseguire: quando arrivo all’apice, esco all’aperto e mi trovo sopra un pavimento metallico che sembra muoversi sotto i piedi. Ingrano l’acceleratore e tenendomi il più possibile vicino alla parete percorro tutta la cupola esterna, mi infilo di corsa nelle scale e scendo precipitosamente (beh tutto parametrato alla mia mole, agli spazi angusti ed all’agilità non proprio felina) fino a quota di sicurezza.

Segue la discesa nell’Hohenzollerngruft, molto simile alla cripta dei cappuccini, Kaisergruft o  Kapuzinergruft, di Vienna ma più sobria, come a dire che i cugini austriaci sono un pochino più frivoli: in tema di tombe gli Asburgo sbaragliano gli Hohenzollern; la solennità dei sarcofagi barocchi di Vienna non trova paragone a Berlino, che pur resta una cripta suggestiva e degna di nota.

Dopo le tombe torno alla luce del sole; nei pressi del Berliner Dom trovo venditori ambulanti dei vecchi colbacchi russi, che mi tentano non poco; sul ponte nei pressi sono testimone di un episodio che mi fa sentire a casa e che mi avvicina un po’ gli inarrivabili teutonici: mi imbatto in un gruppo di, udite udite, non potevo crederci, di pallinari, cioè giocatori delle tre campanelle o tre carte, secondo le varianti.

Il mio sguardo incappa in uno dei loro complici: in un istante sembra che ci riconosciamo, come se fossimo conoscenti da tempo, è solo un’impressione ma casualmente proprio in quel momento il gruppo si scioglie e si allontana di corsa: no, non hanno riconosciuto me, o forse sì, o meglio hanno inteso dal mio sguardo che non ero sprovveduto in merito. Il mio orgoglio poliziottesco è purtroppo ferito quando vedo, ben più prosaicamente, un loro basista dall’altra parte della strada che fa ampi cenni con le braccia; pochi istanti per sparire; intravedo poi l’arrivo di due tranquilli e anzianotti poliziotti che si avvicinano alla zona con grande calma e tranquillità, ignari di tutto.

Mi dirigo quindi verso il Lustgarten, in realtà interessato all’Altes Museum,  e alla Alte Nationalgalerie  che ancora mancano alla sfilza di scrigni d’arte imperdibili.

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