Giornata splendida domenica, dedicata ad un appuntamento con la mia adorata Marta, unica donna cui ho fatto, seriamente e formalmente, la proposta di sposarmi – sappiamo com’è andata. Ci vediamo di fronte all’ingresso di Palazzo Reale dove mi aveva prenotato la visita alla mostra dedicata ad Artemisia Gentileschi. Rivedere Marta, e tutta la sua famiglia, due splendidi ragazzi che vedo crescere come se fossero i miei nipoti, è sempre un enorme piacere.
Sono contento di avere conservato un così bel rapporto ed anche se ci vediamo raramente, quando la rivedo mi sento ancora un baldo giovanotto sperduto tra le nevi livignasche.
Ricordo ancora il cappellino che indossava il giorno in cui facemmo il concorso e tante avventure vissute assieme, così come la quotidianità e le serate trascorse a chiacchierare e progettare il futuro.
Non ricordo con nostagia ma con piacere; poi lei ha scelto di restare tra i monti e di sposare l’attuale marito ed io me ne sono tornato presso le più calde e luminose pianure romagnole ed il mare di Rimini.Dunque pranziamo assieme in Piazza del Duomo poi polleggiamo in centro fino a che non giunge l’ora, per loro, del ritorno mente io mi dedico ad una seconda visita: la mostra dedicata a Cézanne.
Ci infiliamo anche una breve visita ad un bella chiesa, quella di Santa Maria presso San Satiro, con uno splendido esempio, scopro antesignano, di trompe l’oeil, che in soli 97 cm suggerisce una profondità, in effetti, inesistente; purtroppo non si possono scattare foto; un salto anche in Galleria, immancabile, e si respira l’aria di una città che, sebbene più sobria di Roma, ha saputo concedersi un respiro artistico di prim’ordine.
Non sarà l’arte a salvarci ma la bellezza è un patrimonio da valorizzare con sempre maggiore oculatezza ed attenzione, ne potrebbero venire frutti copiosi.
Ci rivedremo, lo abbiamo già deciso, in primavera e sarà ancora una volta un tuffo al cuore.
Vengo allora alle esposizioni: Artemisia Gentileschi mi è piaciuta, anche se adesso credo sia di moda dirlo, specie per quei tratti caravaggeschi che le conferiscono una forza espressiva che colpisce l’osservatore chiedendogli di prendere posizione, di schierarsi dalla parte della “vittima”, che è sempre lei, anche quando decapita Oloferne, uccide Sisara, toglie la forza a Sansone o è oggetto dei ricatti dei vecchioni o delle attenzioni lubriche del re Davide.
Una donna maltrattata che si vendica, continuamente, almeno sulla tela: un compromesso che probabilmente le ha concesso una vita meno disgraziata di quanto avrebbe potuto toccarle dopo lo stupro.
Poi Cézanne: non tante le sue opere e limitate a quelle dedicate alla natura, salvo qualche ritratto, bella mostra anche questa, si intravede lo studio che porterà il maestro ad essere uno dei fondamentali della modernità anche se la mia ignoranza non mi permette di gustarlo come meriterebbe; restano splendide le rappresentazioni di frutta, colorate proprio come piace a me.
La maggior parte del tempo è, però, dedicata al capolavoro che caratterizza Milano: il Duomo.
Ogni volta che lo vedo, ora che è stato ripulito dall’inquinamento che ne ha per troppo tempo offuscato la bellezza, mi commuove per lo splendore, per la sovrabbondanza dei dettagli, per la magnificenza delle evoluzioni di torri, torrette e decori vari, per il numero di statue che movimentano così mirabilmente l’intera struttura che, scopro da Wikipedia sono un numero esagerato, ben 2300 all’esterno (senza contare le mezze figure negli sguanci delle finestre, i 96 giganti sui doccioni e gli altorilievi).
Ne sono incantato e scatto foto per tutto il tempo che mi è possibile, poi entro e se è vero che l’interno non mi pare allo stesso livello dell’esterno, tuttavia gli enormi quadri con la vita di San Carlo Borromeo e le vetrate mi affascinano facendomi immergere in un’atmosfera surreale in cui mi sembra di essere un bambino che gioca con pezzetti di vetro colorati, la stessa impressione che a Barcellona provo guardando le opere di Gaudì.
Lo slancio verso l’alto, l’enormità dell’opera, la celebrazione in corso, con canti in latino ed incenso sono suggestive e mi fanno pensare a quale impatto dovevano esercitare sui contadini che si recavano in città, nei secoli passati.
La Chiesa ha sempre apprezzato e valorizzato la bellezza, non vi ha mai rinunciato in favore di sciocche teorie pauperistiche: di questo patrimonio dobbiamo gratitudine eterna.
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