Ho sentito oggi alcuni commenti sul povero maratoneta dopato, finito sulla ribalta per il poco onorevole comportamento e mi sono chiesto: visto che a nessuno importa veramente di partecipare poiché lo scopo è, potrebbe essere diversamente?, vincere perchè non si liberalizza l’uso delle sostanze dopanti? Danni alla salute? e chissene… si avvisa delle conseguenze che rischia chi si espone e del resto dalle stesse olimpiadi greche mica si usciva indenni se si veniva sconfitti.
Lo sport non è forse la prosecuzione della guerra (o del duello, guerra singola) con altri mezzi? e allora meno ipocritamente ammettiamo che si usino tutti i mezzi purché dichiarati.
Vita breve, forse, ma carica di gloria, come i gladiatori, ripagata da fama, denaro, donnine ecc ecc…
Il nostro povero maratoneta, che proviene da una zona d’Italia famosa per la probità dei costumi, giovane, belloccio, ben fidanzato, uomo immagine della pubblicità è probabilmente crollato sotto una montagna di opportunità troppo pressanti da reggere: mi fa venire in mente la leggenda del santo bevitore, non è la ricchezza che rende l’uomo ricco, anzi può arrivare ad essere una disgrazia, di quelle che rovinano la vita.
Mi è piaciuto il commento di Aldo Cazzullo sul Corriere, ne cito due ampi stralci: “Schwazer può essere stato tradito dall’ansia di essere all’altezza del se stesso di ieri, di non perdere l’oro olimpico, di dimostrare che quattro anni non sono passati. Anche un uomo di ferro, un atleta capace di marciare per 50 chilometri, il protagonista di una storia d’amore che ha emozionato sensibilità estranee allo sport, può essere incapace di accettare i propri limiti, di rassegnarsi al passare delle cose, di convivere con il declino o anche solo con il cambiamento.”
Se tutto è sfida il rischio diventa quello di perdere, ma anche di vincere, in fondo è lo stesso: la condanna è al declino, comunque inevitabile per il tascorrere del tempo e l’avanzare dei concorrenti.
Prosegue Cazzullo: “Se davvero il migliore atleta italiano non ce l’ha fatta, è un fallimento che non riguarda soltanto lui. Proprio per questo, alla condanna non potrà che seguire la pietà: perché siamo tutti affacciati sull’abisso, e chi vi cade, fosse stato anche un eroe fino a qualche giorno prima, paga il prezzo della nostra stessa fragilità.”
La logica dell’eroe non è una logica umana, il povero Alex Schwazer ne è testimonianza vivente.
Gli auguro di riprendersi.