Ho terminato, ieri sera, giovedì 12 marzo, la lettura della Bibbia che avevo iniziato non ricordo quanto tempo fa.
Me l’ero ripromesso: avrei letto tutta la Bibbia, dal Genesi all’Apocalisse, continuativamente, senza saltare una virgola.
Ogni sera qualche versetto o qualche paginetta, senza un criterio fisso, mi sono scivolate tra le dita centinaia di pagine di racconto della straordinaria storia del popolo eletto, il Vecchio Testamento, poi la novità della venuta di Gesù Cristo, quindi la storia della prima comunità cristiana, le lettere varie, e l’Apocalisse.
Ho apprezzato molto di più l’Antico Testamento, rispetto al Nuovo (salvo i Vangeli), non so spiegarne il motivo.
La Bibbia è una miniera di riflessioni ed esperienze che fa parte della mia vita da quando, anni or sono, grazie all’ausilio di don Alberto Crovetti, nella parrocchia delle Sacre Stimmate, a Parma, fui riammesso nella comunione cattolica: era un 4 marzo di non ricordo quale anno, forse il 1984.
Allora fu una scelta dettata dalla nevrosi (del rapporto identitario tra nevrosi e religione parlerò in altra occasione), oggi credo di avere maturato alcune convinzioni “liberanti” dal discorso della religione/nevrosi.
L’Antico Testamento è connotato da questo rapporto, contrastato, tra il Signore ed il suo popolo, col popolo continuamente tentato di ridurre il Signore a divinità qualunque.
Il popolo eletto mette in atto svariati, multiformi tentativi per avere un Dio che fosse come tutti gli altri dei, magari più potente (che li sostenesse in battaglia) ma niente di più: la religione è ateismo, creazione dell’uomo che proietta in cielo il proprio ideale dell’io (vedasi il vitello d’oro).
A questo discorso il Signore si sottrae anche con giusta durezza, proprio non ci sta ad essere fatto fuori, magari colmato di onori cultuali.
Stasera riprenderò a leggere dal libro della Genesi, per rinfrescare il pensiero.