Non ero mai stato a Casalmaggiore in vita mia, sebbene la distanza da Parma sia minima; a tale lacuna ho posto rimedio accettando lo squisito invito di un amico, conosciuto ai tempi dell’esilio colorno-sorbolese, ed ora felicemente pensionato che proprio in quelle zone abita.
Di martedì, giorno peraltro particolarmente fausto per l’occorrenza di due compleanni di amici cari e lontani (in quel di Rimini), a fine marzo, con un clima primaverile, tutto complotta perché la giornata sia piacevole come in effetti è stata.
Riesco incredibilmente a non sbagliare mai strada ed arrivo a casa dell’ottimo Giuseppe Zani, che mi accoglie con la cordialità e simpatia che ormai conosco da anni; ci spostiamo subito alla prima meta – i luoghi sono da lui stabiliti visto che io ignoro del tutto il territorio casalasco – il santuario della Madonna della Fontana.
Chiesa foranea, ove si venera la Madonna (Beata Vergine, detta dei Bagni) e dove sorge un pozzo le cui acque sono miracolose: nel 1320, infatti, un cieco nato, riottenne la vista bagnandosi in quelle acque, quelle che scaturivano dalla fonte chiamata “Pozzo di Santa Maria“.
Quelle stesse acque cui è attribuita la protezione dalla peste; tanta fu la devozione che nel 1463 si completarono i lavori della chiesa attuale che prese il posto di una cappelletta (oggi la cripta) edificata in tempi molto più antichi.
In questa chiesa si possono ammirare dei begli affreschi, opera di Filippo Mazzola, padre del più famoso Francesco Mazzola detto “il Parmigianino” che qui riposa, ricordato da un monumento sepolcrale edificato nell’Ottocento, credo nel 1846, molto sobrio – troppo – per i miei gusti.
Tra i santi affrescati all’interno della chiesa si notano san Rocco e san Sebastiano – notoriamente protettori dalla peste – e varie raffigurazioni – oserei dire fin troppe, ma probabilmente un motivo c’è – della Madonna allattante che richiama la fertilità femminile.
Il mio Virgilio – il buon Giuseppe – mi racconta che ai tempi di mons. Bonomelli, vescovo di Cremona, l’immagine della Madonna – l’originale si trova nella cripta mentre una versione moderna è nella navata destra della chiesa – sarebbe stata parzialmente coperta per non mostrare il seno allattante; mi sono permesso di contraddirlo, richiamandomi alle vaghe reminiscenze di quel che conoscevo di questo santo presule, ma non posso escludere con certezza che l’autore di siffatta sciocca opera di censura fosse lui.
In ogni caso la chiesa è da visitare.
Ci siamo poi trasferiti in centro città dove abbiamo visitato velocemente il Duomo Abaziale, dove ho scoperto che il parroco del Duomo avrebbe diritto ad utilizzare alcuni pontificalia (Giuseppe ricorda, da bambino, sicuramente la mitria) sebbene tema che questa consuetudine si sia ormai smarrita nel tempo.
Dal Duomo alla chiesa di san Francesco il passo è breve: qui troviamo un autentico gioiello che da solo meriterebbe la gita a Casalmaggiore.
Un bellissimo “Cristo deposto“, seppur danneggiato ai piedi, è ancora in cerca di autore poiché viva è ancora la diatriba tra Ulisse Bocchi, che lo attribuisce ad un ignoto scultore milanese di inizio XVI secolo e Laura Cavazzini che lo ritiene opera di Jacopino da Tradate, famoso (non per me) scultore attivo nel cantiere del Duomo di Milano (con l’opera più nota: Martino V in trono) e non solo.
Interessanti i riferimenti al Laocoonte dei Musei vaticani, col viso del Cristo molto simile a quello dello sfortunato sacerdote troiano e al Cristo morto di Andrea Mantegna della Pinacoteca di Brera che, come il Cristo deposto, ha le braccia non conserte ma stese a fianco del corpo; la tesi di Ulisse Bocchi è esposta, forse con un tono leggermente troppo polemico, in un bel volume che mi è stato regalato e che sto leggendo con gran piacere.
Degni di nota anche due altre opere custodite in chiesa: l’affresco convesso con Gesù la Madonna e sant’Anna, opera di Paolo dei Serafino dei Serafini ed il polittico in terracotta, quattrocentesco, sopravvissuto all’incendio devastante del 1919 ma non alla furia di un vandalo.
Una visita davvero piacevolissima che si conclude con un caffè in un bar della piazza centrale di Casalmaggiore, dove ho il piacere di conoscere il fratello di Giuseppe, Paolo.
Da qui si parte per un altro gioiello di Casalmaggiore, ma questa è un’altra storia, prima di arrivare alla quale racconterò che sui muri della cittadina ci sono delle targhe bronzee che immortalano modi di dire dialettali tra i quali, ad esempio, la formula di stipula di un contratto verbale col mediatore per la vendita di capi di bestiame, nel foro boario.
Della prossima tappa alla prossima puntata.
Casalmaggiore, 28 marzo 2023 memoria di Santo Stefano Harding, abate