Ho terminato oggi la lettura del bel libro di Mario Calabresi, che cito tra i miei amici, pur non avendolo mai conosciuto, perchè tempo fa, non ricordo in che occasione, l’ho sentito (via radio?) riportare un insegnamento ricevuto dalla propria madre, vedova del funzionario di polizia assassinato anni fa. “Non voglio alzarmi tutte le mattine condizionata dall’odio che gli assassini mi hanno imposto, non voglio che siano loro a decidere le mie giornate”, questo il senso a memoria; ancora me lo ricordo perchè mi fece riflettere molto sul alcuni tratti del mio carattere (l’essere vagamente rancoroso) che anche grazie a questa occasione di riflessione ho iniziato a correggere.
Qualche settimana fa, in libreria per tutt’altra ricerca, mi sono imbattuto in due libri di Calabresi; tentato dallo sconto li ho comprati subito. Ho letto, al momento solo il primo, che dà il titolo a questo post.
Mi è piaciuto molto, da subito, a prescindere dal fatto che la sua redazione fosse legata alla campagna elettorale di Obama; ciò che ha attirato la mia attenzione è stata l’idea di ripartenza così che mi è venuto un pensiero che ancora non ho risolto e che mi turbina in testa da un po’: e se l’idea di ripartire, di riaprire un orizzonte ormai stabilizzato non dovesse dipendere da una crisi esterna?
Questa domanda mi inquieta molto perchè, per un verso rimanda all’idea di crisi di cui, ovviamente, credo tutti abbiano un certo timore ma, per altro verso, invece, offre la possibilità di pensare ad un eventuale cambiamento di vita in una prospettiva non depressiva di guadagno, di ripresa.
L’unico dubbio che mi viene ha un collegamento col senso di “obbligo”, di imposizione che sembra animare gli americani, costretti a dovercela fare sempre e comunque: non so perchè ma questo mi spaventa un po’: in fondo questa corsa al successo sembra assorbire ogni energia e mi torna in mente il Weber del famoso spirito del capitalismo per cui il successo sarebbe la nuova religione, Moloch cui sacrificare tutto.
Questo è un eccesso, almeno credo, ma vorrei tenere per buona l’idea che, comunque, dopo un fallimento o una crisi, si può ben ripartire, pensiero che non mi è così congeniale e di questo ringrazio ancora Mario Calabresi