Il vuoto o la crisi dello scrittore?

A parte i resoconti degli spostamenti degli ultimi mesi, per la mostra dedicata ad Ulisse in quel di Forlì e per Raffaello a Roma, mi trovo privo di idee.

Ho iniziato, ad esempio, un post sul termine inventato da un collega, “bibliotecario in divisa”, definizione che mi è molto piaciuta e che invidio moltissimo al suo creatore, ma dopo alcune righe mi sono fermato insoddisfatto.

Tra le mani ho un frammento di sogno, che vorrei meglio sviluppare, ma anche questo sembra voler sfuggire, scivolando dalle dita.

Il sogno è questo: devo andare in prefettura; mi trovo nei pressi di un arco, c’è un uomo, tal A.P., mio ex collega di Rimini, persona che disprezzo con una certa intensità, che mi si avvicina con fare minaccioso: l’uomo è di dimensioni più grandi del reale (anche se è già un tipo bello massiccio e corpulento).

Io dico che devo andare in prefettura ed, in effetti, mi ritrovo in una piazza, assolata, dove c’è un palazzo (che potrebbe essere il Tempio Malatestiano); ho con me una 24 ore e penso o dico a qualcuno che devo salire al secondo piano.

Un brandello di sogno molto più ampio di cui non riesco a recuperare nient’altro.

L’arco è un voltone che si trova a Roma, nei pressi di Piazza Sant’Apollinare e a due passi dalla chiesa di Sant’Agostino.

Lì ci siamo intrattenuti alcuni minuti, con mia nipote Laura e la sua amica Sara, dopo il pranzo al McDonald, in attesa dell’apertura della chiesa; nonostante il caldo torrido, in quel luogo c’era l’ombra ed una piacevole brezza.

Un luogo di benessere ed un luogo di possibili incontri poiché pubblico, mi fa pensare ad un trivio, un posto dove si dipartono varie strade e, quindi, diverse possibilità.

I luoghi pubblici, aperti, di solito nei miei sogni si contrappongono alla casa, posto chiuso, non aperto a nuove possibilità.

Le due ragazze mi rimandano alle aspettative che nutrivo, durante la gita a Roma, deluse dalla loro chiusura tra amiche, un investimento, quindi, eccessivo e rimasto senza risultati.

Il collega mi rimanda a due statue, una che avevo visto poco prima, a Palazzo Altemps (anche questo a due passi), l’altra vista tempo addietro ai Musei Capitolini: il Galata suicida ed il Galata morente.

Due capolavori che mi hanno affascinato, di una bellezza straordinaria e di intensità drammatica che non lascia indifferenti.

Il collegamento è coi capelli, a ciocche e mossi e alla torque che è l’unico ornamento del Galata morente.

La torque mi ricorda l’anello al naso dei buoi.

Il Galata è una figura che suscita grande rispetto, è un sodato fiero, valoroso  e amante della libertà, perduta quelle preferisce togliersi la vita, con gesto spettacolare, al contempo patetico ed irreale; le due statue, oltre a piacermi tantissimo come credo si sia capito, mi rendono i Galati molto simpatici, cosa che non posso dire del collega protagonista del sogno.

Al cui riguardo un altro collegamento mi viene col Golem, il mostro di enorme forza ma privo di cervello e controllo che si aggirava minaccioso per le vie di Praga, la notte.

Ci sono, dunque, un eccessivo investimento, non andato a buon fine, e una minaccia.

La parte finale del sogno mi fa pensare ad un’immagine nera, stilizzata, come le figure di Depero che si trovano nel Giardino delle meraviglie, nel parco della fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo; immagine nera su sfondo bianco, il Tempio Malatestiano forse.

L’immagine mi ricorda un personaggio della mia infanzia, il Signor Bonaventura, le cui avventure iniziavano sempre, in rima, con la frase “Qui comincia la sventura del Signor Bonaventura” per terminare, solitamente, col premio di un milione (di lire); a dire il vero io ricordavo la frase “qui comincia l’avventura…” o anche “qui finisce l’avventura …” di sventura proprio non conservo memoria (il che è molto strano).

Della prefettura ho pochi ricordi, in quella di Rimini ero convinto di non avere mai messo piede ma, ripensandoci, mi è tornato alla mente che qualche passaggio credo di averlo fatto.

La scena del sogno, una piazza assolata, direi calcinata, poco ha a che fare con la prefettura, il rimando è al Tempio Malatestiano che, però, non mi suscita particolari ricordi.

La prefettura, invece, il secondo, piano, mi rammenta le riunioni cui ho partecipato, ma a Parma, non certo a Rimini. 

Ho avuto modo di parlare, recentemente, di Rimini e del collega apparsomi in sogno; è una persona che ha avuto a che fare con quel famoso concorso da ispettore che si tenne almeno 13 anni fa proprio nella città romagnola.

Un concorso molto sofferto per tutta una serie di vicissitudini; se lo avessi vinto (come avrei meritato per tutta una serie di questioni che non sto qui a spiegare e che non sono io a sostenere, ma altri ed autorevoli amici e conoscenti) la mia vita sarebbe stata ben diversa: di certo non sarei mai transitato per Modena e chissà se sarei mai tornato a vivere (non dico lavorare) nella mia città natale.

Se non fossi capitato a Modena non avrei nemmeno conosciuto i tanti amici che in quella città ho avuto il piacere di frequentare e che sono un patrimonio che non dimenticherò mai.

Con i se e con i ma la storia non si fa quindi inutile stare a pensarci troppo; quel collega, che fu protagonista di uno sgradevolissimo episodio (riprodotto nel sogno) ha contribuito a che la mia storia, professionale e non solo, abbia preso una direzione (parlavo di trivio poco fa) piuttosto che un’altra.

Questo medesimo collega, negli anni, mi ha inviato i suoi saluti: mi sono premurato, ogni volta, di non ricambiarli; non provo rancore ma preferisco evitare certe occasioni prossime di peccato.

 Curiosamente questo personaggio, minaccioso, sembra godere delle mie simpatie perché mi richiama il Galata.

La torque del Galata mi rimanda a Torquato (non saprei meglio dire chi sia questo Torquato) ma mi fa pensare al tradimento ed all’ingratitudine, forse ha a che vedere con una tragedia di Shakespeare, il Coriolano.

Ma anche il vampiro che aggredisce alla giugulare, così come ho visto in una bella opera di Munch ad Oslo, dove una donna, la vamp o femme fatale abbraccia e aggredisce un uomo totalmente privo di difese.

In realtà, andando a vedere il quadro, la donna aggredisce l’uomo  di lato, non, come pensavo io, da sotto il mento.

Resta che l’uomo viene dissanguato.

C’è uno splendido dipinto di Giulio Aristide Sartorio che ho visto varie volte esposto a Forlì, ai Musei di San Domenico, anche recentemente in occasione della visita alla mostra dedicata ad Ulisse: c’è una bella fanciulla, sirena, stesa voluttuosamente nell’acqua: la sua pelle diafana fa stridente contrasto coi capelli rossi, sparsi come quelli del vampiro di Munch, e col corpo, nudo ed abbronzato, di un giovane che sta per cingerle i fianchi; si intravvedono, sullo sfondo, delle ossa umane che ci anticipano di quale sarà la fine che attende il giovane, vittima delle sue passioni (e della donna che le scatena).

Avrò da tornare su questo sogno.

Parma, 13 agosto 2020 memoria dei Santi Ponziano e Ippolito, di san Cassiano martiri e dei beati Giovanni Agramunt, Giuseppe (José) Bonet Nadal, Guglielmo Freeman,  Modesto da Albocacer (Modesto Garcia Marti), Patrizio O’Healy e Conn O’Rourke, Pietro Gabilhaud, Secondino Maria Ortega Garcia e compagni, martiri, San Massimo il Confessore

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