Durante la gita milanese ho toccato alcuni luoghi non preventivati; uno di questi è stato il Tempio della Vittoria (che fino a poco fa ero convinto fosse il Famedio, che invece si trova presso il cimitero monumentale), presidiato da due ex alpini. Memoriale dei caduti in guerra o a causa della guerra, è uno di quei luoghi che trovo nel contempo anacronistici ma imprescindibili.
Scrutando i tantissimi caduti delle due guerre mondiali vi ho trovato anche un soldato, caduto nel 1918, col mio stesso cognome: Cesare Fallini; di lui non ho scoperto nulla purtroppo; chissà potremmo avere avuto qualche antenato in comune: riposi in pace, come riposino tutte le vittime di quelle atroci carneficine e di quelle che ancor oggi funestano zone così vicine come Israele (dove urge un’intesa pacificatrice) o l’Ucraina o ancora il nordafrica.
L’ingresso è sovrastato da un’enorme statua di Adolfo Wildt rappresentante Sant’Ambrogio che schiaccia i sette vizi capitali, molto bella come tutte le sue opere che ho avuto occasione di vedere.
Se non ho malinteso, Wildt è stato emarginato perché politicamente schierato sul fronte sbagliato (era fascista) ma credo che sia ora, e la mostra di Forlì di qualche tempo fa ha iniziato a farlo, di recuperare un artista abilissimo e davvero da annoverare tra i migliori dell’epoca.
Dopo il Tempio della Vittoria un altro tempio mi attende, Sant’Ambrogio, chiesa ricca di storia e con un fantastico ambone, sovrastante la cosiddetta tomba di Stilicone.
I capitelli, come sempre, nelle chiese romaniche, sono riccamente e variamente decorati. Straordinario il Sacello di San Vittore in ciel d’oro con i mosaici che risalgono al IV secolo e con il ritratto più antico di Sant’Ambrogio. Nella cripta sono custodite le spoglie dei protettori di Milano: Sant’Ambrogio, San Gervaso e San Protaso.
Una chiesa che ha sicuramente la dignità di una cattedrale e che tale sarebbe se fosse in una delle tante città italiane meno importanti di Milano.
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