Giovanni Cominelli? Proprio lui.
Non lo conosco personalmente, né ho mai avuto occasione e piacere di intrattenere un qualche rapporto ma, da qualche tempo, ricevo la sua newsletter, grazie ad un amico di sempre, Gabriele Trivelloni, immancabile quando c’è qualche occasione di profitto intellettuale.
Torniamo a noi; per chi avesse letto il bel volume di Ermanno Bencivenga “La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa” non sarà stato difficile rilevare la percentuale bulgara di discussioni inutili sui mezzi di comunicazione di ogni ordine e grado.
Dai talk show (hanno santificato Maurizio Costanzo, inventore del genere, mentre meriterebbe secoli e secoli e secoli di purgatorio) ai social, la regola è porsi “l’un contro l’altro armato”, in un continuo scontro secondo la modalità azione reazione, sempre più immediata, stante l’urgenza imposta dalla velocità con cui si bruciano le notizie.
Ogni pretesto è buono il che significa che dai fatti più drammatici come pestilenze e guerre a quelli di cronaca quasi “gossipara”, vedasi ad esempio il diritto all’eleganza di Soumahoriana memoria o la recentissima questione di pandori e uova di pasqua di una a me sconosciuta influencer, nulla sfugge al clima di canèa (dalla Treccani online: “moltitudine schiamazzante, e lo schiamazzo stesso, soprattutto se violento e rabbioso”).
Ad un certo punto può accadere di incontrare gli scritti di Giovanni Cominelli e, sembra incredibile, scoprire che è possibile un lavoro di pensiero che non è l’effimera emozione del momento o la reazione più o meno scomposta (seppur paludata) dell’intellettuale o influencer di moda.
Ho iniziato a condividere i suoi articoli ed è accaduto che almeno tre persone hanno risposto commentando con piacere: un ingegnere, un’impiegata amministrativa ed una studentessa universitaria di tecnologia alimentare.
Credo che dipenda da un motivo semplice: quel che scrive, ad esempio su Israele o sul patriarcato, è un buon materiale da riutilizzare, non è sfoggio di conoscenza ma messa a disposizione di materia prima.
Materiale ottimo per i filosofi, i politici e per chiunque abbia voglia di coltivare il proprio pensiero (vedi gli interlocutori cui ho fatto cenno poco sopra: i suoi articoli sono un invito a (ri)svegliare la competenza di giudizio che c’è in ciascuno.
Secondo quanto mi ha insegnato Giacomo Contri i criteri per giudicare un’amicizia sono tre; ecco quel che ha scritto dell’amore, ma amicizia è in molti casi sinonimo di amore:
“L’amore lo è del pensiero di un altro.
non è una definizione oscura né mistica: il pensiero di un altro è un mulino, che fa la farina.
L’amore è una norma fatta di tre norme solidali:
- portare acqua al mulino,
- non distogliere acqua dal mulino,
- non distruggere il mulino”.
Utilizzando siffatti criteri posso affermare che, senza conoscerlo, Giovanni Cominelli è mio amico.
Parma, 22 dicembre 2023, memoria di santa Francesca Saverio Cabrini