Il Museo civico medioevale di Bologna

Avvicinamento aI Museo civico medioevale di Bologna

Il Museo civico medioevale di Bologna segue, quale logica consecutio, alla visita al quasi omonimo Museo civico archeologico: dopo l’antico viene il medioevale, banalmente pura cronologia.

A dirla tutta questa meta è stata molto condizionata da un viaggio della memoria, una rivisitazione o riscoperta di luoghi che tanti anni fa ho visitato in compagnia del carissimo amico Roberto Mastri, di venerata memoria.

La prima tappa è stata la Pinacoteca nazionale – che ha visto come compagna anche la cara amica riminese Angelica – poi il museo civico medioevale, non ultimo luogo …

Ricordo, della visita con Roberto, la statua di Bonifacio VIII, ma con ordine …

Partenza, dunque, come al solito, la domenica mattina, in solitaria, sebbene il treno sia sempre molto affollato; viaggio tranquillo e Bologna, coi suoi portici domenicali ancora un po’ sonnacchiosi, si concede a me, appassionato visitatore.

Un’ampia zona del centro è pedonalizzata per cui spuntano come funghi quei personaggi che normalmente restano sotto la protezione dei portici: mendicanti di ogni ordine e grado invocano per lo più invano, l’attenzione dei passanti.

Avevo la ferma intenzione di concedermi una breve colazione, già presupponendo che avrei saltato il pranzo, ma l’unico locale che ho trovato interessante era troppo frequentato per la mia impazienza e dunque eccomi in men che non si dica al Museo civico medioevale.

Nel Museo civico medioevale, la Wunderkammern

Il personale è cortese, il che è sempre un bel biglietto da visita, i locali per niente affollati – dire che ero solo è troppo – ma la visita si è svolta con amplissimi margini di spostamento e anche questo è buono, sebbene sia sempre dispiaciuto di non trovare tanta gente in luoghi così interessanti.

Inizia l’avventura, una vera e propria avventura, un viaggio nei secoli e nelle peculiarità di Bologna: il primo oggetto decisamente curioso è una zanna d’avorio lavorata in forma tortile, a simiglianza di un dente di narvalo ma chiamato “corno del mitico unicorno”, preziosissimo perché potete ben capire quanto l’unicorno fosse ai tempi raro (soprattutto perché mai esistito) e per via della rappresentanza simbolica – la castità.

Incastonato in una base lignea dorata abbellita da teste di montoni, con richiami vagamente fallici, è questo il primo approccio col museo.

La sala è dedicata alle raccolte del marchese Ferdinando Cospi, un classico esempio di Wunderkammern seicentesca, una raccolta, quindi, di “mirabilia” naturali o artificiali, che in alcuni casi in particolare, sono davvero curiosissimi.

Un esempio? Una cintura di castità, oggetto che non ricordo di avere mai visto, se la memoria non mi inganna; ma c’è anche un paio di zoccoli (calcagnini) veneziani straordinari, perché fanno impallidire i famosissimi tacco 12: tale è la loro altezza che le dame che li indossavano avevano la necessità di essere sostenute da due servitori, proprio così, sono calzature con un’anima in sughero, rivestite di cuoio di montone bianco, dalla vertiginosa altezza di 61 cm, un bell’esercizio di equilibrismo!

Alcuni bellissimi piatti e calici in alabastro, o almeno credo, e vari oggetti di provenienza extraeuropea completano gli oggetti di questa prima sezione, ma sono le sale successive che mi aspettano con ansia…

Codici miniati

Una menzione speciale meritano i codici miniati, raccolta che comprende volumi tra il XIII e il XVI secolo; tra i tanti spicca il Liber Iurium et Privilegiorum Notariorum, raccolta sui privilegi dei notai.

Ma c’è anche, decorato da Giovanni da Modena, lo Statuto della Società dei Drappieri, una delle arti più facoltose e potenti della città di Bologna al principio del Quattrocento, ma ogni volume ha delle miniature che sono bellissime; la sezione dei codici miniati meriterebbe già da sola la visita al museo, e non è che una piccola parte.

Bronzi e bronzetti

Sparsi in tutte le sale ci sono poi dei bronzi e bronzetti di varie dimensioni, diversa fattura e con soggetti assolutamente eterogenei: quel che li unisce è il comun denominatore della bellezza.

In primis c’è un acquamanile che è anche il logo del museo, proveniente dalle regioni renane, che raffigura un cavaliere, oggetto di abilissima ed accurata fattura che lo colloca nel terzo quarto del XIII secolo.

Come dicevo c’è un po’ di tutto, dagli animali, porcospino, cani, pesci, leoni, tori, alle lampade, ai volti e figure intere in posizioni le più diverse: imperdibile ad esempio uno splendido san Michele arcangelo che sconfigge Lucifero, opera di Alessandro Algardi, autentico capolavoro barocco che riprende le modalità di un non meno spettacolare san Michele di Guido Reni per la chiesa di Santa Maria Immacolata a via Veneto, in quel di Roma (chiesa quest’ultima famosissima per le cappelle della cripta, decorate con le ossa dei frati cappuccini).

Non è l’unico pezzo, anzi; bellissimo è il modellino in bronzo del Nettuno della famosa omonima fontana, opera del Giambologna, la cui muscolatura possente e lo sguardo concentrato ricordano il Mosè di Michelangelo, altra opera romana, a san Pietro in Vincoli.

Ma non basta: dello stesso artista c’è anche un secondo splendido bronzetto “Mercurio con il braccio destro e la gamba destra sollevate”, un tema che Giambologna utilizzerà varie volte nel corso della vita e che riscuoteva sicuramente successo presso la committenza e anche a me non farebbe affatto dispiacere averne una copia in casa.

Oltre ai tanti pezzi di piccole o medie dimensioni spiccano due busti, uno, ritratto di Gregorio XIII Boncompagni, opera di  Alessandro Menganti, bolognese, autore anche della statua, sulla porta del Palazzo Comunale ed un altro, frutto dell’ingegno di uno degli scultori prediletti dal sottoscritto.

Di chi sto parlando? non è difficile, di Gian Lorenzo Bernini; certo questo busto non è in marmo – materiale che amo moltissimo, ma la mano felicissima di Bernini spicca anche nel bronzo; si parla del ritratto di Gregorio XV Ludovisi, da un busto marmoreo perduto.

Nel piviale sono ritratti i santi che più sono legati alla figura stessa del Pontefice, Pietro e Paolo, tema ricorrente in questo tipo di abito cerimoniale dei pontefici ritratti da Bernini.

Poi una serie di bronzetti sicuramente poco famosi ma non meno deliziosi; ad esempio una piacevolissima Lucerna in bronzo raffigurante un uomo nudo col corpo raggomitolato nell’atto di eseguire un’acrobazia ed un’altra fatta a mo’ di busto di satiro su una base a forma di zampa di rapace.

Oggetto molto meno diffuso o perlomeno a me meno noto è il bel pomo d’arcione che raffigura il busto di una dama secondo la moda francese, fiamminga e borgognona degli inizi del Quattrocento.

Non più medioevale, perché opera di Pietro Tacca (tra Cinque e Seicento), ma sempre un gran bel pezzo è una statuetta in bronzo di cavallo impennato con coda e criniera svolazzante.

Ancora più recente un bell’Ercole ubriaco con il braccio destro sollevato nell’atto di brandire una mazza (che non c’è più): muscoloso ma col ventre prominente che mi ricorda (per il ventre non per i muscoli) il mio collega Benny il Ceffo.

Avori

In siffatto museo non può mancare l’avorio, altro materiale che mi manda in sollucchero, anche in questo caso ci sono oggetti per tutti i gusti, a partire da una pisside di grande bellezza nonostante la sobrietà delle forme asciuttamente geometriche.

Due opere mi hanno, in particolare emozionato, si tratta di due bacili, anche in questo caso parliamo di produzioni ben oltre il Medioevo, frutto dell’abilità dello scultore tedesco Johann Michael Maucher: i due oggetti, composti di avorio e corno di cervo annerito, raccontano l’uno la vita di Davide, l’altro il Trionfo di Galatea.

Come spesso mi accade, tali e tanti sono gli oggetti che mi attraggono che alla fine me ne ubriaco: ecco delle deliziosa placchette con episodi della passione, esposti vicino ad un putto sdraiato, poggiato su un teschio ed ancora il ritratto di un nobile con l’arzigogolata parrucca che lo colloca temporalmente in età ben più recente rispetto alla consueta periodizzazione del medioevo.

Un’opera pienamente medioevale, invece è un rilievo con la Fuga in Egitto, tema classico, molto frequentato e che, anche in questo caso, molto gradevole; c’è poi un rilievo dedicato a Gesù nel Getsemani, che sintetizza due scene: a sinistra, Cristo nell’Orto degli Ulivi benedice gli apostoli addormentati, a destra Cristo riceve il calice della Passione davanti a Dio Padre; questa probabile tavoletta di cofano fa il paio con quella che racconta la Lavanda dei piedi, entrambe di ispirazione bizantina.

Sempre di ispirazione (o produzione) bizantina: uno splendido Cristo in trono che sembra un vero e proprio imperatore romano.

Due teste virili, una di imperatore non identificato, in alabastro, attirano l’attenzione dei visitatori ma ci sono anche alcuni Crocifissi e scatole costituite da tante formelle che mi fanno impazzire per la meticolosità dell’esecuzione.

Usciamo ancora dal medioevo per finire tra le braccia di due rilievi che raccontano due diversi destini nel rapporto uomo donna: l’uno racconta la tragica fine di Oloferne, per mano della famosissima Giuditta, l’altro ritrae la meno famosa Rebecca che incontra Eleazaro al pozzo; da qui il matrimonio col cugino Isacco al quale partorirà Giacobbe ed Esaù, quello famoso per il famigerato piatto di lenticchie.

C’è anche un frammento di rilievo con san Sebastiano, che ovviamente non poteva sfuggirmi.

Splendida una Crocefissione con le statuette delle pie donne e san Giovanni ai piedi della croce, ma anche il profano trova soddisfazione, in una serie di piccole creazioni raffiguranti dei puttini, un satiro seduto a cavallo di una botte ed un boccale decorato con piacevolissimi eroti (il termine eroto meriterebbe una digressione autobiografica modenese ma andiamo oltre) ma torniamo al sacro, ambito in cui mi muovo con maggiore agio: ecco un bel ritratto di Pio V, con il barbone e lo sguardo vagamente arcigno.

Chiudo con tre medaglioni fantastici che dipingono scene tipicamente medioevali: la partenza per la caccia, un dialogo amoroso e l’assedio al castello di Amore, richiami allo stile dell’Ile de France, all’amore cortese di cui ha magistralmente trattato Denis de Rougemont nell’opera “L’amore e l’occidente”.

In marmo, altro materiale che prediligo, c’è un notevolissimo, ma proprio notevolissimo san Pietro martire, ovviamente santo domenicano, raffigurato, su commissione del legato pontificio Bertrando del Poggetto, dallo scultore pisano Giovanni di Balduccio lo stesso che ha creato un’altra meraviglia: l’arca sempre di san Pietro martire, nella cappella Portinari della chiesa di Sant’Eustorgio in quel di Milano.

Armi

Notevole anche la sezione riservata alle armi; sebbene io non sia appassionato del genere, certe armi, o per le decorazioni o per la curiosa manifattura, sono comunque da osservare con attenzione e poi è inutile scandalizzarsi, le armi credo siano una tale costante nella storia dell’umanità che è imprescindibile, almeno per sommi capi, conoscerne l’evoluzione.

Oltre ad alcune armature, che per le loro dimensioni sono già di per sé punto di attrazione, il resto è una raccolta di strumenti di attacco o difesa, quindi, una gran serie di marchingegni pensati per provocare ferite o morte: coltelli, mazze, picche, lance, pistole, archibugi, spade, spadoni, spadini, pugnali, scudi, sciabole, insomma non manca davvero nulla.

Da notare in particolare lo Stocco, una splendida spada donata da Papa Niccolò V a Ludovico Bentivoglio, o il Targone, scudo da parata dipinto con San Giorgio e il Drago.

Sigilli

Un’altra sezione merita attenzione, quella dei sigilli (da cui nasce la sfragistica, la scienza che studia proprio i sigilli): preziose informazioni si ricavano da questi piccoli oggetti, dalla ricchezza allo status sociale; per ottenerli si utilizzava il piombo per i meno abbienti, oro o argento per i più facoltosi e, mentre per questi ultimi il sigillo era studiato e prodotto come un “unicum”, per gli altri si utilizzava un modello poco elaborato cui si aggiungevano le iniziali del committente, insomma più o meno la differenza tra un abito da grande magazzino ed una creazione di alta sartoria.

Ci sono tanti altri oggetti interessanti ma urge una nuova chiamiamola sezione, di quelle per me irresistibili, ma di questo al prossimo post.

Bologna, 30 aprile 2023 memoria di San Pio V papa, San Giuseppe Benedetto Cottolengo sacerdote e San Mercuriale di Forlì vescovo

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