I marmi Torlonia, esposti a Villa Caffarelli, sono una selezione della famosa collezione Torlonia, non aperta al pubblico.
Una collezione unica al mondo, frutto della passione di una famiglia che ha investito nell’acquisto di opere sul mercato ed ha scavato ovunque ha potuto nei latifondi di proprietà.
Viene definita una collezione di collezioni perché frutto dell’acquisto di collezioni precedenti, risalenti al Seicento; dalla collezione Giustiniani a quella di Bartolomeo Cavaceppi passando per quella del cardinale Pio da Carpi.
Numerosissime opere sono state, quindi, collezionate dalla famiglia Torlonia e conservate in un palazzo alla Lungara, non visibili al pubblico.
Straordinaria, di conseguenza, l’iniziativa di esporne un certo numero a Villa Caffarelli: ho saputo dell’evento casualmente, dalla TV, proprio come era successo con l’esposizione di Banksy ed ho deciso di approfittarne.
Esperienza straordinaria, un’esposizione magnifica di opere incantevoli, divisa in 5 sezioni, in base alle provenienze dei pezzi: si inizia dalle acquisizioni dell’Ottocento per retrocedere fino al Cinquecento delle collezioni di Pio da Carpi e Caetani.
La moda di collezionare ha inizio in un certo periodo, prima le sculture venivano riutilizzate a pezzi per qualche chiesa, monumento o tomba oppure semplicemente sbriciolate per ottenerne calce: mancava del tutto l’idea di un passato “separato” e da conservare; tuto era vissuto nell’oggi, a costo di distruggere capolavori che oggi giudicheremmo di inestimabile valore.
L’idea di un recupero dei reperti dell’antica Roma nasce, per motivi politici, nel principio del XV secolo quando il papato torna nell’Urbe dopo l’esilio avignonese e la ricomposizione del grande scisma: l’aristocrazia ma non solo quella, anche i borghesi nel frattempo arricchitisi, reagiscono all'”invadenza” della Curia pontificia recuperando un’origine indipendente dalla chiesa, l’antica, eterna, Roma.
Molti di questi borghesi, che certo non possono permettersi collezioni importanti, si accontentano di inserire nei muri delle facciate delle abitazioni dei frammenti antichi, con un modo di nobilitazione del proprio passato che sembra un’abitudine tipica dei romani, basta pensare all’Eneide col mito di fondazione virgiliano.
Queste raccolte non avevano spazi dedicati, i musei sorgeranno più tardi, venivano esibite o applicate alle pareti o nei giardini ed orti delle abitazioni patrizie, così come si era soliti fare nel medioevo, nelle chiese.
Questa situazione, diciamo così un po’ dilettantistica, riceve una svolta grazie ad un Pontefice, Sisto IV, nel 1471, con la donazione dei bronzi che si erano accumulati in Laterano al popolo romano, ordinandone la collocazione in Campidoglio.
Da qui nasceranno i Musei Capitolini, primo museo pubblico al mondo, grazie a Clemente XII, nel 1734 ma, nel frattempo, il gesto di Sisto IV costituirà il paradigma di una gestione dei reperti romani che sarà, ad un tempo, privata (i privati possono collezionare) e pubblica (il Pontefice sovrintende e controlla).
Ma veniamo ai pezzi esposti; sono talmente tanti da stordire.
Inizio con un ritratto maschile detto Eutidemo di Battriana, volto di un anziano ritratto con tutte le rughe del caso, tanto che in origine venne considerato il volto di un villano ma che, in realtà, riproduce le fattezze di questo sovrano di una dei regni ellenistici del III sec. a.C.
Un altro anziano, detto Vecchio di Otricoli ed il busto di Adriano sono tra i busti che più mi sono piaciuti.
Ovviamente ho apprezzato anche il busto di Lucio Vero a tacer di quello di Caracalla, d’altronde la ritrattistica romana è famosa nel mondo.
Eccomi davanti ad un pezzo straordinario, un Bassorilievo con veduta del Portus Augusti: un insieme di rappresentazioni reali ed allegoriche, dai ritratti del committente (e forse della moglie) intento ad operare il sacrificio dell’apobaterion (ringraziamento per il ritorno al porto) allo schiavo dell’Africa nera alle varie nike, l’arco di trionfo con elefanti, la lupa con Romolo e Remo, insomma, un insieme davvero interessantissimo.
Poteva forse mancare un sarcofago? Ovvio che no: c’è il bellissimo Sarcofago del centurione Lucius Pullius Peregrinus.
Il defunto viene rappresentato con la moglie (il cui volto non è mai stato sbozzato) come un filosofo (di estrazione cinica come si nota dall’abbigliamento – il mantello che copre il corpo), un tema che ebbe molto successo anche in epoca cristiana grazie all’assimilazione tra il filosofo e Cristo.
Sui due lati corti ci sono belle scene di Satiri che pigiano, riferimento al mondo dionisiaco: l’utilizzatore del sarcofago, sfortunatamente, ci si è dovuto accomodare anzitempo: lo sventurato centurione è morto prematuramente: 29 anni tre mesi e un’ora e mezza, questa la sua breve vita.
Un secondo sarcofago, anche questo molto bello, ci racconta le fatiche di Ercole, o meglio solo 6 di queste faticose sfacchinate che tanta gloria gli hanno procurato (la gloria senza fatica è effimera, no?): curiosa la rappresentazione dell’eroe secondo il trascorrere del tempo: si parte da giovane imberbe per arrivare ad adulto barbuto.
Mi è piaciuta anche l’interpretazione delle vicende erculee proposte dal catalogo: una lode al defunto per avere contribuito, in vita, a mantenere l’ordine del cosmo contro la minaccia del caos.
Ci sono poi svariate statue, una più bella dell’altra, sia femminili che maschili, tra le quali una statua di un Dace prigioniero ma passiamo ad un altro genere: una tazza monumentale con le ormai consuete fatiche di Ercole, una bella statua del Nilo Barberini Albani ed una vasca in granito bianco e nero che fungeva da vasca per una fontana, funzione per la quale erano spesso utilizzati anche antichi sarcofagi.
Ci sono poi vari crateri, altri sarcofagi ed uno splendido monumento a kline con figura femminile giacente.
Notevole la Statua di Ulisse sotto il montone e splendido il gruppo di due guerrieri.
Trovando particolarmente simpatiche le oche segnalo una replica di Fanciullo con l’oca di Boethos: il bambino sembra voler strangolare la pover oca, ma l’effetto sembra piuttosto quello di un abbraccio.
C’è poi una serie di sculture ottenute per recupero di vari pezzi, tra queste notevole è la statua di Apollo con la pelle di Marsia; Marsia è stato un tema ricorrente visto che ecco un’altra statua del povero sileno famoso per l’orribile punizione ricevuta dal dio Apollo.
Molto bello il busto di Satiro ebbro ed imperdibile la statua di Meleagro; meno eroica ma molto commovente è il gruppo di due coniugi: marito e moglie si tengono la mano destra, nella cosiddetta dextrarum iunctio, simbolo di concordia coniugale.
Verso la fine della vista ci sono ancora uno splendido guerriero in posizione di difesa a terra, un bellissimo caprone, una bella Artemide Efesia che mi rimanda a quella con gli schiavi di Giulio Aristide Sartorio, esposta nella Galleria nazionale d’arte moderna.
Un rilievo di scena di bottega, curiosa rappresentazione di vita quotidiana, direi una scena commerciale, sembra rappresentare una macelleria, con tanti animali da cortile appesi in bella mostra; non manca, sarebbe impossibile a Roma come anche dalle mie parti, un porcello sventrato.
Chiudo con altri due pezzi splendidi: una statua di Atena tipo Giustiniani, di cui mi ha colpito la bella civetta sull’albero sul quale si inerpica una serpe, anche se il volatile è di produzione moderna.
L’ultima opera è la statua di filosofo detto Crisippo Cesarini, degna conclusione di un itinerario che lascia incantati.
Spero di vivere abbastanza per poter visitare il museo che esporrà l’intera collezione ed applaudo con entusiasmo e calore ad una famiglia, i Torlonia, che hanno conservato una raccolta così straordinaria.
Roma, 15 ottobre 2020 memoria di Santa Teresa d’Avila, Vergine e Dottore della Chiesa