Non me lo aspettavo più e, invece, come ogni anno riecco l’amico rospetto: stavolta non l’ho fotografato per non violare la sua privacy rospettesca e sopratutto perché era buio ed ero sprovvisto di arnesi fotografici; a dire il vero mi sono preso un mezzo accidente quando ho intravisto una strana massa scura muoversi tra le ortensie e le azalee, temendo l’importuna presenza di una pantegana.
Gli anni precedenti, in effetti, l’incontro avveniva in giovane età (del batrace) ed in altro luogo, cioè nell’orto, tra i radicchi; domenica mattina, in effetti, avrebbe potuto rappresentare un’ottima occasione visto che, dopo 6 km di marcia con i bastoni da nordic walking, ho vinto il premio del trapiantatore aureo: dopo avere zappato una parte dell’orto e vangato una seconda, ho trapiantato ben 216 piantine di radicchio di Castelfranco.
Ormai io e mia madre (che mi ha valorosamente ed indefessamente aiutato) siamo famosi nel negozio dove li compriamo perché non riescono a spiegarsi come facciamo, in due, a comprare tante piantine di radicchi (in effetti le 216 sono un acconto di quelle che acquisteremo tra una decina di giorni per completare l’opera).
Debbo confessare che il lavoro dell’orto, per quanto impegnativo per il tempo e faticoso perché la terra, ahimè, come dice l’adagio, è bassa, tuttavia è fonte di soddisfazione e di rilassamento.
Apprezzo l’idea di coltivare qualcosa e di accompagnarne la crescita fino a coglierne il frutto.
Un po’ come le idee e i libri o le opere d’arte.
Ci sono le erbacce, quelle anche infestanti e ci sono quelle fruttifere che sono state coltivate, manipolate, selezionate dall’uomo, nel corso dei secoli: nemmeno la natura, quella coltivata, è naturale.
Allo stesso modo i pensieri: ce ne sono di ogni tipo; ricordo che da bambino mi dicevano che i rospi sputano e sono velenosi (in parte è vero) e i pipistrelli sono pericolosi perché si attaccano ai capelli e sono guai; da adulto ho fatto pace con entrambi (forse perché ho perso i capelli?).
Hortus conclusus, giardino recintato, questo mi è venuto in mente scrivendo: che sappia io, oltre a una citazione dal Cantico dei Cantici (4, 12): “ Hortus conclusus, soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus” è spesso un attributo della Vergine Maria utilizzato per sottolinearne l’immacolata purezza.
Pensiero affascinante che richiama anche i monasteri medioevali, coi loro orti, coltivati con erbe medicinali ed aromatiche, luogo separato ove regnava la pace.
Vi è un errore di fondo in questo ed è il conclusus, cioè l’essere separato, mentre è ottima l’idea di hortus, luogo ove il lavoro trasforma la natura e produce frutti.
I monaci hanno pensato di anticipare il paradiso, delimitandolo con le mura del cenobio, luogo ove regna Cristo, nella persona dell’abate, e ove la carità è la regola, cioè la costituzione del monastero e di ogni singolo monaco.
Resta un problema di difficile soluzione: il rapporto con l’altro diverso quanto al sesso, cioè con la donna.
Il monachesimo non riesce a concepire nulla di meglio che la separazione e la rinuncia al rapporto in quanto sessuato.