Le parole rituali, pronunciate dal cardinale protodiacono, hanno rallegrato la serata: alla Chiesa universale è stato donato il nuovo pontefice, un sospiro di sollievo sembra percorrere il mondo, almeno dal racconto dei giornalisti (categoria cui do meno fiducia che ai serpenti a sonagli).
La chiesa prosegue il suo cammino, come sempre, in un mondo che sembra averla dimenticata o abbandonata, nonostante l’interesse che mostra in questo momento.
Personalmente mi aspettavo e speravo che l’eletto fosse il cardinale Scola, nonostante il grave difetto di essere italiano (mi auguro che il nuovo papa decida di cambiare la regola per cui a papa straniero corrisponde segretario di stato italiano), lo Spirito Santo ha deciso diversamente (ogni tanto mi accade di avere qualche divergenza di opinione).
Pontefice gesuita, se non sbaglio è la prima volta, e questo non è un bene (mi affascinavano i gesuiti, da giovane,ora non più, la soluzione militare non è gran che interessante).
Mi è parso un po’ ingessato, all’inizio, ma col compito che lo aspetta, mi sembra normale, poi, invece, mi è piaciuta la naturalezza con la quale ha invitato tutti a pregare, con estrema semplicità.
Il discorso, da vescovo di Roma, mi è apparso assai semplice e confidenziale.
Il nome, molto impegnativo, dice di un programma che, spero, non sia solo pauperistico (non ci serve una chiesa impoverita, ma povera – il che non implica rinuncia ai beni).
Compito da far tremare le vene e i polsi: i miei auguri al nuovo Papa; la mia povera, vacillante preghiera gli sia di sostegno.