La prima guerra mondiale aveva fornito nuova energia alle correnti di cui si è parlato fino ad ora nel libro bellissimo, Sessualità e nazionalismo, di cui sto facendo una sintesi.
Il nazionalismo aveva trovato qualche resistenza prima della guerra ma, grazie al trauma provocato da questa, aveva rinforzato il culto della gioventù, il senso della bellezza maschile e il rapporto cameratesco, ovverossia il suo stereotipo di virilità; in questo modo si pensò che le implicazioni sensuali ed omoerotiche implicate nella virilità sopradescritta fossero ormai cancellate: la guerra era un invito alla virilità.
Vari intellettuali e giovani del dopoguerra coltivarono il pensiero di avere perso una possibilità di dimostrare la propria virilità combattendo.
La donna non sfuggì a questo tipo di pensieri: essa fu idealizzata come la guardia del fronte interno o come colei che si occupa dei feriti, ma a causa della guerra, fu anche vista come la prostituta che soddisfaceva le esigenze del soldato prima che questi tornasse al cameratismo delle trincee.
È vero che dopo la guerra molti, in Inghilterra più che in Germania, la rifiutarono, assieme al suo invito alla virilità ma gran parte dell’élite letteraria inglese che aveva fatto questa scelta, aveva finito coll’ammirare il fascismo.
Non si sa se la maggior parte della gente abbia accolto bene la guerra, in Francia sembra di no, mentre in Italia il sentimento predominante fu una sorta di rassegnazione di fronte all’inevitabile; se è vero che il nazionalismo fu tipico soprattutto della gioventù universitaria e di una parte della classe media, tuttavia possedeva una forza che gli permise di sovrastare l’atteggiamento negativo e rassegnato della maggioranza della popolazione.
Furono i volontari a creare il mito dell’esperienza di guerra, che si diffuse largamente nel periodo postbellico poiché era utile per cancellare l’orrore dell’evento e accentuarne la gloria.
Una delle motivazioni che spinsero la generazione del 1914 ad arruolarsi volontariamente fu il bisogno di provare la propria mascolinità: i volontari avvertivano che, “liberandosi dell’artificiosità della civilizzazione” e diventando “semplici e naturali”, avrebbero riaffermato la propria virilità e creato un universo nuovo e maschile, ben diverso dal mondo corrotto in cui ritenevano di vivere.
Queste idee furono utilizzate dalla scienza medica: la robusta salute doveva prendere il posto della malattia di una società sofisticata, effeminata e debole; la generazione del 1914 partecipava in questo modo alla rivolta antiborghese che era diventata violenta alla fin de siecle: era la rivolta dei figli della classe media contro la società dei genitori ma l’alternativa, in quel momento non era il decadentismo bensì la virilità.
La ricerca dell’eccezionale e la sete di avventura, che scioglievano l’uomo dagli obblighi e dalle responsabilità della società borghese, trovavano soddisfazione nella guerra: era una fuga dalla modernità che Eric Leed ha individuato come un atteggiamento tipico della generazione del 1914, insieme all’esaltazione della forza e della virilità.
Questa fuga comportò anche un ritorno all’ideale della natura incontaminata, da cui tanto attinsero gli autori dell’epoca nella descrizione, ad esempio, dei soldati nudi che fanno il bagno nella natura: esaltazione della bellezza maschile e della sua vulnerabilità e purezza in contrasto con la corruzione della società.
Quando la guerra introdusse l’elemento erotico nella virilità e fece emergere l’amicizia maschile, divenne urgente intervenire per eliminare un così grave pericolo:
Rupert Brooke ne fu un chiaro esempio poiché già prima della guerra aveva cercato di eliminare l’impulso erotico ripudiando l’amore in favore di un’amicizia senza lussuria; per lui purezza era sinonimo di “purificazione della sessualità”; per i giovani come Brooke, la guerra era l’occasione per idealizzare la mascolinità inserendola in un principio assoluto che trascendeva quelli che erano considerati gli istinti più bassi dell’uomo.
Non a caso in Germania i primi reggimenti di volontari venivano benedetti in chiesa, un modo per confermare l’idea di consacrazione e trascendenza: la causa nazionale avrebbe assorbito l’impeto sessuale dell’uomo e il suo erotismo.
“Colui che giura fedeltà alla bandiera prussiana, non possiede più nulla che possa chiamare suo”: questa l’epigrafe sulla croce di legno della tomba di guerra di Walter Flex, eroe tedesco.
Molti volontari consideravano la guerra come strumento di rigenerazione personale e nazionale che trascendeva l’istinto sessuale ed esaltava quelli aggressivi e battaglieri; nonostante la realtà fosse ben diversa si affermò che dalla guerra era emerso un nuovo tipo di uomo, sicuro di sé, felice di sacrificarsi e dalla personalità pura, in definitiva la riedizione del vecchio stereotipo nazionale esemplificato dal tedesco Walter Flex e dall’inglese Rupert Brooke.
Entrambi non erano giovani di avanguardia, piuttosto erano degli scrittori convenzionali e le loro opere erano facili da comprendere; non fu a caso che il loro mito nascesse nel momento in cui la guerra viveva in una fase negativa.
Le loro qualità fisiche e morali erano associate al mito della natura e richiamavano la metafora di un passato preindustriale puro, non corrotto, in tal modo legittimante il nazionalismo come forza immutabile.
Prevalevano i simboli preindustriali e pastorali legati all’idea di purezza così il tema dei soldati nudi mentre fanno il bagno fu una costante nei memoriali di guerra inglesi perché simboleggiava l’idillio pastorale e, insieme, lasciava trasparire un clima di erotismo: natura, nudità, mare impersonavano contemporaneamente erotismo del mito e sua purezza: pulizia e luce del sole tolgono alla nudità la sua sensualità lasciando solo la bellezza da contemplare.
Anche la nudità era un simbolo di libertà; di questo tema scrisse abbondantemente T.E. Lawrence nel celebre The seven pillars of wisdom, dove celebrava l’uomo nudo che, nel nudo deserto, viveva a contatto con le forze elementari della vita; in questo mondo le donne non avevano un ruolo, i giovani arabi soddisfacevano i bisogni sessuali fra loro; per Lawrence l’omosessualità era, in questo contesto, naturale e parte integrante del cameratismo del deserto, espressione di virilità che era, secondo lui, un aspetto della lotta araba per l’indipendenza e la libertà.
Si manifesta qui evidente il contrasto con l’Europa dove la rispettabilità richiedeva sforzi enormi per controllare le passioni illecite: in questo caso la purezza non escludeva la lussuria nè la natura depurava dell’elemento erotico la nudità, anzi la natura più grezza era in sintonia con gli istinti fondamentali dell’uomo.
Questa connotazione della natura era presente anche in Germania, durante la guerra, quando il naturale fu spesso associato al primitivo, ma questa cruda natura non poté mai intaccare la rispettabilità, la passione era bloccata a un passo dalla soddisfazione sessuale grazie alla consacrazione dell’individuo alla causa nazionale.
Lawrence, scrivendo degli arabi, non faceva altro che proiettare su di loro le fantasie sessuali europee; in realtà egli non amava gli arabi ma li aveva collocati retrospettivamente in quello stereotipo che aveva sempre avuto successo nell’Europa industrializzata: il deserto come metafora di libertà, l’arabo come nuovo nobile selvaggio dai costumi non convenzionali, rendeva puro nel suo ambiente, ciò che era anormale.
Le fantasie diffuse sugli arabi dovevano fare sicuramente presa sul rispettabile cittadino inglese vittima delle sue emozioni irrigidite e della sua sessualità frustrata; anche per i francesi gli arabi potevano assumere questa luce mentre i tedeschi, che avevano solo una superficiale esperienza del mondo arabo, proiettavano le loro fantasie sugli indiani d’America, in ogni caso il maschio virile dello stereotipo nazionale ed europeo poteva liberarsi degli stretti legami politici e morali soltanto rimanendo a una certa distanza di sicurezza dalla propria casa.
L’eroe di Lawrence, l’emiro Faisal, rappresentava un ideale di bellezza maschile non diverso da quello di Brooke o Wurche, l’amico e modello di Flex: era uomo d’azione piuttosto che di pensiero e, sebbene privo di quella tranquillità così importante per gli altri due, il suo essere capriccioso mostrava solo la sua libertà da ogni artificio.
Bellezza fisica e fascino del comando li accomunavano, nell’arabo tuttavia restava manifesto quell’erotismo che negli altri due diventava trascendente.
L’erotismo era quasi esplicito sia dello stereotipo nazionale tedesco che in quello inglese grazie al rilievo dato alla bella presenza e al reciproco amore tra gli uomini, ma fu reso innocuo, almeno in teoria, poiché venne inglobato nell’immutabilità della natura, della cristianità e della nazione: i giovani greci rappresentati nudi nei monumenti di guerra venivano fissati ed eternizzati in modo da diventare simboli immutabili e quindi trascendenti la loro stessa nudità.
Questo mito assunse forme simili in Germania ed in Inghilterra, il che ci dice che soddisfaceva esigenze comuni ad entrambe, ma anche le differenze sono importanti, particolarmente per le diverse reazioni alla natura della guerra e al mestiere di uccidere.
Per il tedesco Flex la natura sentimentale e la crudeltà umana sono accoppiate nella bella gioventù, al contrario l’inglese Brooke non esalta mai il mestiere delle armi né la bellezza della guerra.
Brooke apparteneva all’élite letteraria inglese, era un giovane irrequieto, prima della guerra, e in rivolta contro l’autorità, che aveva lasciato l’Inghilterra per viaggiare in Europa, America e mari del sud; questa sua signorilità incuteva rispetto, in Inghilterra; al contrario Flex non aveva mai contestato l’autorità, né tentato, con i viaggi, di fuggire la famiglia e gli amici; fu per lui naturale diventare il tutore dei figli della famiglia Bismark: Flex non usa mai autoironia, né si concede distrazioni dai suoi alti propositi, è sempre gravato da un senso di pesantezza, assente invece nell’inglese.
Queste differenze tra i due caratterizzarono i diversi atteggiamenti diffusi nei rispettivi paesi o per lo meno in molte delle loro figure più rappresentative; il contrasto si ampliò alle tradizioni del passato che i due autori consideravano significative: l’inglese si rifaceva all’antica Grecia, il tedesco al pietismo che utilizzò il sentimento cristiano per aiutare ad affrontare l’esperienza della guerra; frequenti erano i riferimenti al martirio e alla resurrezione di Cristo, secondo quella tradizione già consolidata dalle guerre di liberazione per cui la nazione tedesca era il vascello di Dio e coloro che sacrificavano la loro vita in suo onore imitavano il sacrificio di Cristo e perciò erano associati alla sua resurrezione.
Oltre al richiamo al mondo preindustriale, immagine dominante, se ne formò un’altra, dovuta alla meccanizzazione della guerra: specialmente in Germania cominciò a svilupparsi un nuovo stereotipo marziale del soldato integrato con la macchina, anzi il soldato stesso è frequentemente descritto come una macchina; gli uomini macchina descritti da Ernst Jünger sono pieni di vitalità e di aggressività, queste energie richiedevano non tanto la repressione della sessualità ma un suo nuovo orientamento: la carica erotica virile era sprigionata dallo scontro con il nemico quasi che lo sfogo dei propri bisogni sessuali potesse avvenire in maniera quasi uguale sia sul nemico in battaglia che sulla donna a battaglia terminata.
La libertà che la generazione del 1914 aveva cercato nella guerra assunse nuovi contorni: non era più la ricerca di purezza morale e personale di tanti volontari, ma al contrario, lo scatenamento degli istinti dell’animale predatore, nella crudeltà del combattimento.
Le truppe d’assalto descritte da Jünger anticipavano la figura di quei soldati che, terminata la guerra, vollero restare in armi per difendere i confini orientali della Germania, i cosiddetti “corpi franchi” che, in realtà, erano organizzati militarmente quasi come un esercito regolare.
Il mito dei “corpi liberi” fu utile per soddisfare la nostalgia per il cameratismo di guerra, in palese contrasto con la disorganizzazione ed il caos del tempo di pace e fu, così, anche una risposta alla ricerca di fuga dai vincoli della società borghese; alcune caratteristiche del mito furono attribuite alle S.S. naziste dai volontari stranieri che vi si arruolavano: vi era l’idea di appartenere ad una nuova razza di uomini, al di sopra della legge e della nazione, una sorta di ordine cavalleresco al servizio della purezza razziale e della nuova Europa.
Coloro che non facevano parte di questa banda di maschi erano considerati dei semplici oggetti: le donne, gli ebrei, i popoli slavi.
La sessualità imbrigliata nell’aggressività verso il nemico salvò ancora una volta la rispettabilità da una possibile minaccia.
Questi giovani non erano considerati come individui, ma come rappresentanti di un’esperienza collettiva che coloro che avevano partecipato alla guerra, in qualche modo, avevano sperimentato nel cameratismo militare: fu per questo, probabilmente, che l’ideale del cameratismo fu una delle componenti più solide del mito dell’esperienza di guerra.
Il cameratismo della trincea per molti giovani fu la prima esperienza di vita comune, dove ciascun membro doveva sostenere gli altri per sopravvivere e dove esisteva una rude uguaglianza anche tra ufficiali e truppa: il plotone al fronte è stato paragonato ad un piccolo Stato assistenziale nel quale ogni membro contribuisce al benessere degli altri.
Nel mito le relazioni tra camerati evidenziavano gli effetti edificanti della guerra: l’altruismo faceva sì che si appartenesse ad un gruppo e questa sublimazione avrebbe liberato dall’egoistica spinta sessuale, destinata ad essere assorbita dall’interesse per l’intera comunità; fu soprattutto in Germania che il cameratismo venne considerato l’embrione di una nuova nazione, pura nel corpo e nell’anima, in vista di una forma di democrazia più genuina rispetto al governo rappresentativo: nelle trincee “l’uguaglianza si stabiliva naturalmente”.
Il mito del cameratismo fu creato in buona parte da ufficiali e tuttavia conteneva un’abbondante dose di sentimentalismo per gli uomini perché, per la prima volta, uomini delle classi superiori avevano incontrato le classi inferiori, in trincea; l’uguaglianza “naturale” non escludeva la gerarchia, al contrario, la presupponeva come forma di “guida naturale” che sarebbe spettata a coloro che si erano messi alla prova nell’azione e possedevano virtù virili e sembianze maschili: anche nel caso del carisma del comando erano presenti elementi omoerotici assai difficili da sopprimere.
Le donne erano, ovviamente, escluse da questo cameratismo: i memoriali e i romanzi di guerra raccontano frequentemente di soldati che incontravano le fidanzate durante la licenza e se ne dimenticavano, senza alcun rimpianto, quando il reparto si trovava sotto il fuoco nemico.
In realtà le donne ossessionavano i sogni e le fantasie dei soldati ma il mito del cameratismo le relegò nei consueti ruoli familiari del XIX secolo: oggetto del desiderio e immagine della donna pura che sacrifica se stessa, ovvero la prostituta e l’infermiera del campo di battaglia.
Nella propaganda bellica le fantasie sessuali ebbero un ruolo importante: lo stupro delle donne da parte del nemico era illustrato spessissimo e furono anche di moda cartoline scatologiche, non censurate perché le fantasie erano proiettate sul nemico, spesso rappresentato ricoperto di escrementi e con il corpo e gli organi sessuali ben in vista.
La celebrazione del cameratismo riportò in auge l’antico ideale del männerbund ma fece rinascere la paura dell’erotismo maschile, ingigantita perché gli atteggiamenti e le emozioni dell’amicizia adesso erano considerati una reminiscenza effeminata e spiacevole di sentimenti omoerotici o addirittura omosessuali tanto che nel dopoguerra lo sforzo di eliminare l’erotismo da questo ideale assunse forme addirittura grottesche.
Studi compiuti durante il terzo reich sostennero che le trincee erano state una scuola di comportamento virile, un’esperienza comunitaria che aveva collegato la dedizione all’onore, al dovere e al lavoro, insomma un addestramento alla rispettabilità, una scuola di perfezionamento dell’educazione e della morale virili.
Gli ideali di virilità e di cameratismo vennero, poi, adeguati alle consuetudini del tempo di pace: il caso emblematico fu quello dello scrittore francese Henry de Montherlant che considerò lo sport una continuazione della guerra in tempo di pace, la migliore prova di virilità che esistesse: egli paragonava la squadra di calcio al plotone del periodo di guerra; per lui la guerra rappresentava la possibilità di una vita veramente maschile e trovava compensazione alla sua omosessualità in un männerbund ideale che poteva essere lo stadio o la battaglia.
Le donne, ancora una volta, non avevano posto in questa costruzione ideale a meno che non fossero abili nello sport ma allora venivano rappresentate con caratteristiche maschili nell’atteggiamento e nell’aspetto e private dei lineamenti del corpo femminile, la donna in quanto tale è solo uno stupido e obbediente oggetto di libido sessuale.
Il cinema diffuse, specialmente in Germania, gli ideali di virilità, sull’onda del film di montagna che comparvero nell’immediato dopoguerra: Leni Reifenstahl e Louis Trenker usarono il loro vigore e la loro bellezza fisica per conquistare le vette; l’alpinismo è uno sport mediante il quale il corpo umano cerca di raggiungere l’immutabile, l’eternità: i ghiacciai, le rocce incontaminate, l’aria e l’acqua cristallina simboleggiavano la rigenerazione della Germania sconfitta in preda al caos e alla rivoluzione.
I film di montagna non avevano messaggi apertamente nazionalisti, ma propugnavano l’idea che fosse possibile ricostruire una nazione forte, virile e moralmente pura.
La guerra riaffermò e rinsaldò l’alleanza tra nazionalismo e rispettabilità e stimolò la nascita di uno stereotipo maschile sensuale ma spogliato della sua carica sessuale e sostenne il cameratismo come forma di amicizia superiore alle altre relazioni umane.
La guerra portò anche dei cambiamenti: in Italia ci fu chi richiese maggiore emancipazione sessuale, divorzi più rapidi, uguaglianza per le donne e anche abolizione del matrimonio; in Germania, durante la Repubblica di Weimar, ci fu una tolleranza di tutte le forme sessuali che ha ormai del proverbiale; chi sostenne l’opposizione a ogni tipo di guerra, continuò, tuttavia, durante gli anni 30, a nutrire gli ideali di virilità come un aspetto del mito dell’esperienza di guerra; l’ordine borghese, in definitiva, rimase valido e non fu mai messo in dubbio.
L’ideale di virilità fu molto più utile alla destra che alla sinistra europea perché accentuò tanto la gerarchia quanto l’uguaglianza, avendo come scopo la rigenerazione individuale e nazionale, mediante l’utilizzo di simboli preindustriali molto evocativi; la classe operaia rimase esclusa da questo schema, essa venne trasformata in un ceto di artigiani e piccoli proprietari, cioè uomini che potevano adattarsi alle gerarchie sociali così come avevano accettato il ruolo di soldati semplici in guerra.
La sinistra rinunciò a confrontarsi con il mito dell’esperienza di guerra ma fu decisa nell’accettare l’ideale della rispettabilità che ancora definiva la società borghese: destra e sinistra condivisero l’ideale di rispettabilità ma fu la destra che lo spinse agli estremi e seppe sfruttarlo ai primi fini.
Dopo la guerra sembrò aumentare la minaccia contro la società borghese e la nazione: c’era il timore che la transizione dalla guerra alla pace fosse pericoloso per la politica, la società, la morale; si temeva che uomini e donne si rifacessero delle privazioni subite, sia per la mancanza di uomini disponibili per così tanto tempo, sia per la possibilità che gli ex soldati del fronte minacciassero il fronte interno e quindi gli usi e costumi consolidati della società borghese; a questo si aggiungeva la paura della rivoluzione russa che era vista come una istigazione all’immoralità, come era stato un secolo prima per la rivoluzione francese.
Il bolscevismo, in effetti, sperimentò un breve periodo di libertà sessuale che avrebbe potuto comportare un radicale cambiamento della moralità, ma dopo questo divenne un modello di rispettabilità che difendeva il legame tra forza nazionale e rispettabilità con lo stesso fervore della destra europea.
Nel dopoguerra si diffuse l’idea che vi fosse una crescente ondata di immoralità contro la quale tutte le nazioni europee intrapresero una dura lotta poiché consideravano la tolleranza come un segno di decadenza; su queste idee, soprattutto in Germania, si iniziò a costruire una ostilità verso un gruppo specifico: la popolazione ebraica, vista con sospetto così come si guardava con sospetto, durante la guerra, a coloro che rifiutavano di uniformarsi all’idea dell’unità nazionale.
Venne all’ordine del giorno la cosiddetta questione ebraica e, nel 1916, fu promossa un’indagine per stabilire quanti ebrei avessero prestato servizio al fronte e quindi verificare chi avesse fatto il proprio dovere: la mancata pubblicazione dei risultati fece sospettare che gli ebrei fossero colpevoli di imboscamento.
Dopo il primo conflitto mondiale gli ebrei furono rifiutati dalle organizzazioni dei veterani tedeschi e furono costretti a fondarne di proprie, cosa che non successe in Francia e in Inghilterra; l’isolamento degli ebrei era il riflesso del timore della sconfitta e poi del travagliato passaggio dalla guerra alla pace: il loro trattamento fu sintomatico della strada che i tedeschi intendevano percorrere per salvare il mondo del dopoguerra.
Le condizioni del dopoguerra, furono in Germania, molto più difficili che in Inghilterra e in Francia e questo fu di grande aiuto alla destra: la disfatta e le rivoluzioni successive sembravano chiedere una rinascita nazionale e morale proprio nel momento in cui la Berlino della Repubblica di Weimar, con la sua tolleranza, sfidava la morale della destra tedesca. La Repubblica è vero che approvò una legge contro la pornografia ma non la applicò mai con convinzione anche se i nazisti decisero di non abrogarla.
Più che la sua semplice esistenza era la possibilità di vederla che dava importanza a una subcultura omosessuale e lesbica che, seppure presente anche a Parigi e Londra, a Berlino era più facilmente fotografabile, constatabile e descrivibile letterariamente: questa sfida morale non fu priva di influenza come pretesto per le reazioni violente della destra e poi del nazionalsocialismo.
La destra politica tedesca fece appello al razzismo per sostenere la rispettabilità che stava crollando e, in contemporanea, per preparare la nazione a vendicare la sconfitta; se il razzismo era sempre stato presente in Europa e vantava una storia importante in Francia, fu in Germania che divenne un aspetto della politica di massa, esercitata dai “rispettabili nazionalisti” e dall’estrema destra.
Questa fu la via particolare che la Germania intraprese per riprendersi dalla sconfitta e superare i pericoli del dopoguerra.
Nello stesso tempo la relazione tra nazionalismo e sessualità fu un altro tentativo di separare radicalmente il normale dall’anormale, di definire l’estraneo e le sue qualità morali e fisiche: l’alleanza tra nazionalismo e rispettabilità raggiunse il culmine nell’alleanza tra nazionalismo, razzismo e rispettabilità.