Provo un certo timore reverenziale a criticare il professor Ernesto Galli della Loggia, intellettuale di cui ho grande stima e di cui apprezzo spesso i contributi che pubblica sul Corriere della Sera.
L’ultimo che ho letto è di alcuni giorni fa, 8 ottobre, dedicato alla bellezza perduta delle città italiane.
Difficile non condividerlo: è sotto gli occhi di tutti che le città italiane spesso sprofondano sotto la vergogna di situazioni intollerabili per la convivenza civile.
Ma forse servono alcune puntualizzazioni: condivido totalmente, al 1000% la sua attribuzione di responsabilità alle amministrazioni locali, ma non sono soltanto loro i colpevoli.
Mi permetto di segnalare al professor Galli della Loggia che lo stato italiano, credo in sintonia con le norme europee, ha negli ultimi anni privilegiato la libera iniziativa degli imprenditori, specialmente in ambito commerciale: oggi con una semplice scia, una comunicazione all’ufficio competente, è possibile aprire un’attività commerciale: comunico e apro oppure comunico e subentro.
Se il titolare di un’attività di un certo “rilievo” è finito in difficoltà o decide di passare la mano, in 24 ore un qualunque imprenditore, non necessariamente interessato a mantenere quel tipo di attività o prodotto o qualità del servizio può subentrare e trasformare il bel negozio di una volta in un qualunque confusionario bazar di robaccia.
Vedasi certe zone di Roma, a titolo di esempio; non è sempre questo il caso e la normativa non è sempre così permissiva ma spesso è pensata più per privilegiare chi imprende (e gli imprenditori non sono il patrimonio di un qualunque stato?) a prescindere, senza preoccuparsi di altro tipo di valutazioni.
Sempre la normativa statale ha inventato quella mostruosità tipicamente italiana per cui i sindaci danno le indicazioni politiche e i dirigenti le mettono in pratica, autonomamente, secondo l’idea che è necessario separare la politica dalla gestione amministrativa.
Credo che nessun italiano che frequenta gli enti pubblici possa dar credito a una tale ipocrisia: dirigenza e politica sono talmente legati che è quasi impossibile che sorgano reali contrasti; se io dirigente campo grazie al posto che occupo e se mi dimostro autonomo rispetto alle voglie del politico di turno chi mi manterrà al mio posto o assumerà una volta scaduto il mio primo contratto? Evidentemente il dirigente sarà portato a dimostrarsi fedele perchè nessuno ama il suicidio professionale.
Sul versante politico, altrettanto ovviamente, si privilegerà chi obbedisce perchè è pensabile che un politico voglia circondarsi di gente che osa contraddire le sue decisioni?
Il professore poi riprende un argomento non nuovo, la sua personale polemica contro la polizia municipale, che data a tempi ormai quasi definibili come remoti.
Non entro nel merito delle sue lamentele sulla polizia municipale da Roma in giù, non intendo difendere la categoria a priori; quel che vorrei stimolare in Galli della Loggia, invece, è la curiosità.
Lui che è uno storico acuto ed intelligente potrebbe dedicarsi a studiare un po’ la storia e l’attualità della figura dell’ex vigile urbano ora agente della polizia municipale o locale.
Non ricordo se l’ho già scritto, apro una parentesi, che normalmente i giornalisti, così solleciti nel seguire le innovazioni linguistiche politicamente corrette (sindaca, assessora e schifezze del genere) insistono nel chiamare vigili urbani la polizia municipale, mai, invece, secondini, ad esempio, la polizia penitenziaria; ma questo non lo dico a proposito dell’articolo di cui tratto.
Riprendiamo il filo: il professor Galli della Loggia potrebbe scoprire che la polizia municipale sta vivendo, ormai da decenni, un disagio difficilmente sopportabile per molto altro tempo.
In questi anni è stato chiesto un cambiamento di mentalità, di modalità di comportamento, di formazione e di approccio che ha piazzato la polizia locale in una terra di nessuno che scontenta tutti o quasi.
Le forze di polizia nazionali, forti di potenti (per quanto esistano dei potenti oggi, cioè zero) ministeri si sono ritagliate, negli anni, le competenze ritenute più appetibili, lasciando alle polizie locali quelli che sono ritenuti interventi di serie b; così viene sempre posto in risalto che polizia e carabinieri tutelano i cittadini combattendo i cattivi mentre le polizie municipali fanno solo le multe (cioè sanzioni per violazioni al codice della strada).
Sanzioni, peraltro, che non contribuiscono al miglioramento della vita delle città perchè ogni giorno si riproducono le identiche dinamiche di parcheggio selvaggio e incivile e nessuna amministrazione mette veramente mano ad una problematica tanto complessa come la circolazione stradale.
Quante volte abbiamo sentito, sempre partendo da autorevoli (sono spiritoso) ministri a scendere che la polizia municipale è interessata solo a far cassa: solitamente sono accuse che provengono dalle opposizioni (o da ministri) ma, stranamente, quando le stesse opposizioni prendono il potere cosa cambia? nulla, il che dimostra la strumentalità di un’accusa che ha come unico risultato la delegittimazione degli operatori in strada.
Delegittimare le istituzioni è uno degli sport nazionali ma non porta a niente di buono.
Se fosse vero che la polizia municipale viene utilizzata per far cassa (e sono certo che lo sia, in molti casi) sarebbe sufficiente che i ministeri competenti prendessero l’iniziativa di modificare la legislazione vigente per imporre obblighi e divieti alle amministrazioni comunali; potrebbero prevedere, ad esempio, che tutti gli introiti confluiscano nelle casse statali e siano i prefetti (che andrebbero peraltro aboliti) o figure analoghe a redistribuirli a ciascun comune per finanziare le opere di sistemazione delle strade, creazione di parcheggi, manutenzione dell’esistente e quant’altro serve.
Dice benissimo il professor Galli della Loggia quando ipotizza di conferire ad altre autorità, statali ma, perchè no, regionali eventualmente, molti dei poteri che attualmente fanno dei sindaci i caudillos dei comuni loro amministrati.
Capetti quasi onnipotenti (grazie ad un sistema elettorale che gli conferisce una forza invincibile) ma, specularmente, debolissimi senza un consenso organizzato che veniva una volta dai partiti ed ora da tutti quei corpi sociali intermedi presenti sul territorio che garantiscono pacchetti di voti in cambio dell’immutabilità della situazione.
Lo stato ha approfittato delle smanie di potere dei sindaci per lasciare in loro balia tutta una serie di fenomeni che sono sfuggiti di mano perchè o mancano le forze o manca la volontà politica (quanti appartenenti a settori specializzati come edilizia o commercio abbiamo nei corpi di polizia locale?).
Un esempio banalissimo è il commercio abusivo su area pubblica: lo stato dice che si tratta di materia di competenza della polizia amministrativa, quindi che non ha a che vedere con l’ordine pubblico, salvo trovarci in situazioni, come ogni cittadino che frequenta le varie fiere di paese o le spiagge della penisola può testimoniare, ai limiti del paradosso, con manifestazioni in balia di abusivi arroganti e spesso violenti che sono intoccabili perchè “poverini, che male fanno, devono andare a rubare?”.
A parte la solita italiota ipocrisia di chi mantiene nella miseria questa gente, perchè l’italiota tipo si lava la coscienza acquistando a prezzo bassissimo (perchè saranno poverini ma l’italico acquirente cerca prima di tutto “l’affare” tirando sul prezzo) la robaccia in vendita, infischiandosene di sicurezza ed igiene (vedi i massaggi in spiaggia con le massaggiatrici cinesi che non si lavano mai le mani), a parte questa innata ipocrisia, dicevo, lo stato sa benissimo che meglio che facciano quello che altro e quindi ci saranno lamentele ma quelle lasciano il tempo che trovano ed intanto tiriamo a campare.
In mezzo a questa follia si trova spesso ad operare la polizia municipale.
Tralascio lo status giuridico che vede gli agenti locali inquadrati come impiegati amministrativi ma con doveri e responsabilità pari a quelle delle forze di polizia ad ordinamento statale, tralascio anche l’insuperabile abilità di autolesionismo che contraddistingue la categoria, ma a parte tutto questo vorrei che il professor Galli della Loggia si facesse promotore di una riforma che aspettiamo da anni.
Non vogliamo, caro professore, un ufficiale dell’Arma a dirigerci (ben vengano se capaci, ne ho conosciuti alcuni fantastici ed altri di una mediocrità sconfortante, come accade per ogni categoria di persone); personalmente vorrei che lei avesse prima di tutto il desiderio di frequentare un po’ alcuni comandi, vedere quel che viene fatto o tentato di fare e poi proponesse, con la sua autorevolezza, una riforma seria.
Ad esempio se si definissero precisamente le competenze, se si creasse una polizia locale regionale, con uffici in ogni comune a seconda delle esigenze, ma con possibilità di scambi di personale, di utilizzo di personale in trasferta, in modo da uniformare procedure e sottrarre all’opprimente pressione del sindachetto di turno gli operatori.
Ma si potrebbe pensare anche di togliere ogni competenza di polizia giudiziaria (eventualmente salvo quelle indispensabili per i rilievi degli incidenti stradali) e ridurci a fare gli ausiliari della sosta o poco più; preferirei anche questo pur di vedere finalmente un po’ di chiarezza.
Si potrebbe dissolverci nella polizia di stato, creando sezioni specializzate in problematiche particolari, si potrebbe … si potrebbe … si potrebbe …
Ma ogni scelta varierebbe molti equilibri, non solo per i sindaci, ma per le forze dell’ordine e questo, in Italia, oggi, è impensabile.
Se si pone mente al fatto che abbiamo un presidente del consiglio (sigh) che è stato sindaco, un ministro, Del Rio, non da meno e tanti altri politici che da quella poltrona sono passati e nonostante questo non un abbozzo di riforma ha preso corpo…
Professore, ci dia una mano, critichi quel che è da criticare ma sostenga una riforma indifferibile; ricorderà meglio di me che già scriveva queste cose nel 2009, le sembra che qualcosa sia migliorato da allora?