Galleria comunale di arte moderna

Roma custodisce tali e tanti tesori che non si finisce di scoprire i luoghi degni di una visita; uno di questi, che sinceramente proprio non pensavo esistesse, è invece la Galleria Comunale di Arte Moderna.

Occupa i locali di un monastero carmelitano femminile del XVI secolo, in via Crispi di fianco alla chiesa di San Giuseppe a Capo le Case; ci sono arrivato quasi alla chiusura ma col tempo sufficiente per visitare la Galleria: dall’esterno sembrava un luogo trascurato e dimenticato da Dio e dagli uomini, all’interno, invece, la cassiera mi ha spiegato che in quel momento erano al completo e che avrei dovuto attendere l’ultimo turno utile da lì a 15 minuti.

Ho accettato tra il perplesso e l’incuriosito, approfittando dell’attesa per visitare l’attigua chiesa che era, un tempo, al servizio del monastero; visita deludente, chiesa non particolarmente gradevole mi perdonerà il Padrone di casa.

Tornato alla Galleria, in compagnia con altri visitatori, sono stato finalmente ammesso alla visita.

Non è un ambiente enorme, ma ci sono diverse opere decisamente gradevoli; innanzitutto le sculture.

Il seminatoredi Ercole Drei, ad esempio, è una bella opera che rappresenta per l’appunto un contadino intento a seminare che mi ricorda opere d’arte di ispirazione “comunista” o nazista: il contadino, alto e nerboruto sembra dominare l’ambiente che lo circonda con grande fierezza, molto diverso dai contadini rappresentati ad esempio da Van Gogh, persone di solito sottomesse ed esteticamente “abbruttite” dal lavoro.

Gli Amanti di Giovanni Prini è un’altra opera decisamente piacevole: rappresenta un tema molto di moda a inizio del secolo scorso, l’abbraccio tra due amanti, connotata da un’accentuata verticalità, che ricorda Klimt.

Dello stesso autore, Le gemelle Azzariti, bella rappresentazione delle gemelle figlie di un generale.

C’è poi un bellissimo Cavallo, in marmo rosso, di cui ignoro l’autore, ed altre sculture tutte degne di nota, tra le quali c’è da segnalare Cleopatra di Girolamo Masini, un’opera molto “tipica” dell’epoca di fine ottocento, primi del Novecento.

La Cleopatra di Masini è una procace giovane donna, che mostra generosamente il petto scoperto, tipico esempio di “femme fatale”: bella e seducente ma … il destino di chi si lega a cotanto esempio di seduttrice è la morte che, in questo caso, sta per colpire proprio la sventurata regina d’Egitto; a fianco della regina, infatti, un paniere di frutta custodiva la serpe che l’artista riprende mentre sta salendo per compiere il fatale destino di Cleopatra.

Bellezza, seduzione, passione e rovina erano i temi che tormentavano gli artisti e la società borghese sul limitare della catastrofe della Grande Guerra.

Imperdibile la “Maschera del dolore” di Adolfo Wildt, autoritratto di un artista a mio giudizio di prima grandezza.

Afrodite e Riposo di Attilio Torresini sono altre due sculture, ma ne trascuro ingiustamente, tante altre, che si offrono al visitatore.

Passiamo a qualche tela: una per iniziare, il “Comizio” di Giulio Turcato, opera esposta nel 1948 a Bologna, alla “Prima mostra nazionale d’arte contemporanea” aspramente criticata da Palmiro Togliatti.

L’opera è decisamente interessante per via dell’astrazione: non ci sono persone ritratte, sostituite da stilizzati triangoli rossi, bandiere al vento: ottima rappresentazione di quel che diviene  la massa.

Ma ecco una “Donna alla toeletta” di Antonio Donghi, una bella rappresentazione di signora fortunatamente e piacevolmente non anoressica, borghese e serena; un’altra donna, decisamente meno vestita, è quella rappresentata da Felice Casorati, il titolo è “Susanna” che ovviamente non può non richiamare alla famosissima eroina biblica, vittima della concupiscenza dei vecchioni.

Nel caso di Casorati, la donna, nuda, è seduta su una sedia, all’interno di una stanza il cui pavimento è parzialmente coperto da alcuni giornali (spicca il rosa de “La gazzetta dello sport”); alle sue spalle, leggermente discosto, un uomo, a cavalcioni di una sedia, sembra guardarla con lubrico desiderio.

Altra donna, che ammicca con sguardo seducente allo spettatore, è la protagonista de “Il dubbio” di Giacomo Balla, ma non è l’unica: “Violette“, di Lionne (Enrico Della Leonessa), è ancora una volta una donna molto seducente, riccamente abbigliata, ritratta secondo la tecnica del divisionismo (il francese pointillisme).

Tutte opere davvero meritevoli di una visita, ma la mia prediletta è “Il cardinal decano” di Scipione (al secolo Gino Bonichi, prematuramente scomparso a 29 anni).

Il ritratto del cardinale Vincenzo Vannutelli, decano appunto del sacro collegio (carica in cui subentrò dopo la morte del fratello a sua volta cardinale), sullo sfondo di San Pietro e dei simboli della chiesa cattolica, il tutto colto con tonalità da espressionista, in una cupa luce rossastra quasi a preconizzare un cupo futuro per la cristianità.

Un’altra opera che mi ha conquistato è “Campeggio di Balilla” di Pippo Rizzo, per via dei colori e dei piani che creano dei contrasti luminosi che appagano il mio senso estetico, così come il delizioso “L’angelo dei crisantemi”, di Giuseppe Carosi, in stile art noveau.

Era in corso, per concludere, una mostra dedicata a Obei ovvero Shepard Fairey.

Una trentina di opere accostate a quelle delle collezioni del museo; alcune di queste produzioni mi sono effettivamente piaciute, per certi aspetti ci ho trovato un pensiero simile a quello di Banksy, tuttavia non ne ero totalmente convinto.

Leggendo in giro ho scoperto che questo artista ha miscelato in versione Street Art la pop art americana e il costruttivismo sovietico e si è appropriato dei temi della protesta per trasformarli in produzione commerciale, svuotandone così il contenuto rivoluzionario.

La protesta diventa un discorso commerciale, incapace di incidere sulla realtà del capitalismo; in questo mi ricorda molto l’opera di Banks si che ritrae varia umanità in coda per acquistare i gadget dell’ultimo evento protestatario: Kronos divora i propri figli, tanto meglio se ribelli, ed il capitalismo ne è l’epigono.

Mi è piaciuta molto l’immagine del poliziotto in tenuta antisommossa con lo sfollagente che termina con un fiore.

Le altre immagini mi suggeriscono l’idea di sommossa in salsa obamiana, il perturbante di cui parlavo in riferimento a Banksy se c’è è presente solo in alcune opere.

Roma, 15 ottobre 2020 memoria di Santa Teresa d’Avila Vergine e Dottore della Chiesa

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