Sono arrivate a casa una camelia, tre azalee e vari bulbi (che spero si mantengano per il prossimo anno), in attesa che il giardino esploda con l’azzurro di quei fiori meravigliosi che ho importato da Modena e che non sono ancora riuscito a scoprire come si chiamino.
I fiori rappresentano, in questo momento, sicuramente una formazione reattiva perchè mi suscitano una commozione che avverto come sproporzionata, quasi che il reciderne uno o causarne una precoce sfioritura o la rottura di uno stelo o ancor peggio la morte precoce siano un crimine orrendo.
Resta il fascino che esercitano tanto che non me ne sazierei mai, quasi come le ineguagliabili ciliegie: trovandomene davanti una certa quantità non riesco mai a scegliere quale lasciare.
Le dimensioni, la forma, il colore, ogni scusa è buona per scegliere una gustosissima drupa ed altrettanto per i fiori: guardando le distese di vasi, ordinatamente esposti in grandi “vasconi”, nei vivai, fatico a scegliere quale privilegiare, anzi l’angoscia mi assale pensando alla piantina che lascerò e magari non troverà un padrone che saprà farla germogliare e fiorire.
L’angoscia nasce dall’idea di tralasciare, abbandonare, trascurare una piantina, causandone così (anche solo per non averlo impedito) una cattiva sorte.
Mi viene in mente un altro episodio quanto pochi angoscioso: saranno ormai 30 anni che mi trovavo spesso a passare, col mio ciclomotore, per una via, corta, dove si trovava ai tempi un negozio di animali.
Faceva bella mostra di sè, in vetrina, un cucciolo di cane, bianco-crema con macchie nere: era l’immagine, l’icona della tenerezza, di una dolcezza che feriva il cuore, al vederlo confinato dietro il gelido vetro di un negozio.
Passaci oggi, passaci domani, giunsi al punto di decidere di acquistarlo (se il prezzo fosse stato umano) anche se ero contrario all’idea di avere un cane in casa; il passargli di fronte e vederlo a distanza in vetrina, in quell’angusto spazio, esposto alla curiosità e indifferenza della gente aveva sgretolato ogni pensiero contrario.
Sono andato in negozio, parcheggio il motorino nei pressi, mi avvicino alla vetrina e… scopro che era un peluche.
Meglio così ma ci sono stato male per un bel po’ a questa idea di un essere solo, abbandonato, non amato da nessuno, anzi senza che nessuno se ne prendesse cura: è uno dei miei punti deboli.
Alcuni giorni fa ho fatto un sogno di cui non ricordo nulla se non un flash che mi torna spesso in mente: ci sono alcune oche, bianche immacolate com’è ovvio che siano le oche, che camminano con la loro tipica e simpatica andatura, ma con dei vestiti (da oca) addosso.
Chissà