In alcune di queste ultime mattine mi è capitato di fare il turno del mattino e di arrivare quando inizia ad albeggiare; provenendo dal parcheggio vedevo sulle antenne dell’edificio dove lavoro stormi consistenti di grandi uccelli scuri per non dire neri.
Ogni volta che li vedo mi torna in mente la famosissima poesa di Carducci che ho studiato a memoria, se non ricordo male, in quinta elementare.
A quei tempi si usava studiare le poesie a memoria e, se questa non mi inganna, la mia amatissima maestra Bianca Marzoli, ce la dettava il sabato ed era da imparare per il lunedì.
Dunque San Martino, di Carducci, di cui ecco il testo:
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Quegli stormi di uccelli neri, contro l’azzurro cupo del cielo che sta rischiarando, mi affascinano; mi ricordano un qualche famoso film, un thriller di Hitchcock, che peraltro non ho visto come pure un non meglio definito maniero diroccato, antro di orrori e torture.
Mi viene anche in mente un enorme corvo, emblema del re ungherese Mattia Corvino, che ho visto a Budapest in uno degli ingressi del palazzo reale; nulla a che vedere con le tenere tortorelle che frequentano il mio giardino.
I corvi, grigio-neri, di grandi dimensioni, hanno iniziato ad impossessarsi del territorio, così come le gazze ladre, negli ultimi anni ma ricordo che, in attesa dell’aereo, a Stoccolma, mentre mangiavo, se la memoria non mi tradisce, delle gustose patatine fritte, venni visitato da svariati corvi che si avvicinavano a brevissima distanza e con una certa insistenza, quasi pretendessero di impossessarsi delle mie cibarie.
Ben diverso era l’atteggiamento dei passerotti che venivano a mangiare dalle mani dei visitatori nel prato antistante il museo del Prado, dopo la visita di ormai tanti anni fa, in compagnia delle amiche e colleghe riminesi.
Uno scenario, dunque, inquietante, al contempo affascinante e minaccioso, che dura pochi istanti, giusto il tempo di entrare nel palazzo o incontrare qualche collega da salutare.
Ma la storia è incentrata sull’aggettivo “esuli”, questa è la parola che assume particolare vividezza: lo stormo di uccelli neri che richiama il maniero diroccato evoca scenari di lugubre antro, cioè di luogo mal abitato, dove l’uomo vive malamente o coltivando pravi pensieri. Comunque un luogo in cui si vive malamente, da cui fuggire.
Esule, come dice il vocabolario è sinonimo di profugo, fuoriuscito, come il pensiero quando viene parassitato dalla nevrosi.
Come ho sentito dire spesso “l’io non è più padrone in casa propria”.
Evidentemente stamattina sono in vena di citazioni, tutte assai scontate peraltro, ma ecco cosa mi viene in mente: la famosissima “The waste land”, di T. S. Eliot che mi richiama la non meno arcinota frase di Tacito “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” che io conosco nella versione di desertum al posto di solitudinem ma il concetto è il medesimo.
L’idea di deserto come risultato dell’agire umano, così come la terra desolata: il deserto non è in origine ma è il prodotto di un non accadere o di un contro lavoro che si oppone al costituirsi di una diversa forma di civiltà.
Una pessima alternativa al regime dell’appuntamento.
Il mio desiderio di andarmene all’archivio storico, su cui non demordo nonostante il rifiuto che ho ricevuto, è un modo per dire che dove mi trovo avverto fortissima l’idea di deserto (salvo qualche lodevole e preziosissima eccezione).
Sono trascorsi due mesi da che ho iniziato questa avventura ed ancora non ho minimamente ingranato, il che è un chiaro segnale del disagio che sto vivendo, della difficoltà di trovare partner per fissare appuntamenti.
Nel frattempo una coltre bianca copre la città, purificando l’aria e due amici iniziano la loro avventura professionale a Reggio Emilia, come ispettori: Loris e Piero, ottime persone che mi onoro di stimare, apprezzare e frequentare quando possibile. A ciascuno di loro vanno i miei migliori auguri: sono certo che opereranno bene e avranno le meritate soddisfazioni poiché sono persone serie e professionisti encomiabili (uno lo è almeno in potenza visto che è ancora un “cucciolo” di ispettore e deve farsi le ossa, ma farà bene).
Parma, 1 marzo 2018 memoria di Sant’ Albino di Angers Vescovo