Il setaccio, secondo il vocabolario Treccani: “Arnese di uso domestico, costituito, nella forma più semplice, da un telaio di legno di forma cilindrica cui è fissato un fondo costituito da un tessuto, a maglie più o meno larghe, di crini, di canapa, di cotone, di seta, ecc., o da una reticella metallica; serve a separare la parte più fine da quella più grossa di una sostanza polverulenta”.
Uno strumento a portata di chiunque che permette di separare la farina dalla pula e non solo.
Lo usano principalmente il contadino e la massaia, quindi è democratico, non richiede alcuna specializzazione.
Non ha prevenzioni perché setaccia la farina ma può separare anche altre sostanze (lo utilizzava mia madre per filtrare il nocino) e senza che quelle scartate diventino necessariamente scarti, cioè rifiuti inutilizzabili, quindi sceglie con criterio.
Tra tante cose che passano, le più diverse, coglie solo quel che vale la pena di essere trattenuto per un ulteriore lavoro.
Non ha nemici, non fa la guerra a nessuno; mi ricorda il paolino “Omnia probate quod bonum est tenete” (Prima Lettera ai Tessalonicesi 5, 21).
Il setaccio potrebbe essere molto utile per le frasi.