Dopo uno squisito pranzetto cucinato dalla sempre ottima amica Silvia, il pomeriggio di domenica è stato dedicato ad un film di cui ignoravo l’esistenza; protagonista il mio amatissimo Kenneth Branagh e questo è un indizio importante per scoprire di cosa si tratta.
Facendola breve: Othello è il film, del 1995, diretto da Oliver Parker, con protagonista assoluto, come dicevo poc’anzi, nel ruolo di Jago, Kenneth Branagh.
Film bellissimo con uno Jago superlativo, com’è sempre il mitico Kenneth quando si tratta di ruoli shakespeariani, che sopravanza completamente, direi quasi fino ad oscurarlo, il povero Othello od Otello, all’italiana, che dir si voglia.
Tragedia della gelosia, così si intende Otello, normalmente; oggi si direbbe che si tratta di un femminicidio, ma credo che sia limitativo se non fuorviante vederlo come un banale episodio di gelosia.
Tutto inizia con un atto “contro natura”, la seduzione da parte di un generale moro della bellissima e virtuosa figlia di un senatore veneziano.
Anticipando stilemi che diverranno poi consueti qualche secolo dopo, Shakespeare vede nel nero la passione sfrenata, cioè la libidine, di contro c’è il nitore della pelle equivalente al bene, alla castità ed alla purezza; il nero è il demoniaco il bianco l’angelico.
Ordunque Otello, moro, seduce e sposa la bella Desdemona che, per lui, tradisce l’obbedienza filiale dovuta al padre che, ovviamente, la disconosce come figlia e la consegna al Moro con una frase che sembra una maledizione ed una previsione:
“Sorvegliala, s’hai occhi per vedere:
ha ingannato suo padre,
ed è capace d’ingannare te.”
La vicenda scivola via senza intoppi fino al momento in cui Jago dà inizio alle manovre per portare alla rovina il suo competitore Michele Cassio, nel ruolo di luogotenente, ed il moro Otello.
Nei confronti di quest’ultimo Jago nutre un odio profondo che è incomprensibile: l’avergli preferito Cassio nel ruolo di luogotenente ed il sospetto che il Moro lo abbia cornificato con la propria moglie sono motivi accennati ma del tutto sproporzionati al lavorio messo in atto.
Non è, dunque, una lotta di potere, né una vendetta dettata dalla gelosia o non soltanto quello.
Alcuni aspetti si ritrovano molto simili in Re Lear, nella vicenda dei figli di Gloucester, Edmondo ed Edgardo (anche se in questo caso la lotta è scatenata da brama di potere, sebbene non manchi un importante dose di invidia): l’uno è onesto e leale, ingenuo perchè incapace di pensare il male e perciò facile preda degli intrighi dell’altro:
“Un padre credulo, un fratello nobile,
così alieno per sua stessa natura,
dal pensar male, che mai giungerà
a sospettare il male in altrui animo;
questi miei stratagemmi,
a cavallo di tanta balordaggine
cavalcano a tutto lor talento.
Ora vedo l’affare: avrò le terre,
se non per nascita, per perspicacia.
Per me ogni mezzo è lecito,
purché teso a raggiungere il mio fine”.
Non dissimile l’atteggiamento di Jago che, usando il medesimo strumento, la parola, indurrà l’ingenuo Moro a diventare il suo burattino:
“Il Moro è d’indole franca ed aperta,
tanto da reputar uomini onesti
quelli che tali son solo di fuori;
si lascerà menare per il naso
con la docilità d’un somarello…
Ecco, ci sono. Il mio disegno è fatto.
Ora tocca all’inferno ed alla notte
portare questo parto mostruoso
alla luce del mondo.”
C’è l’ingenuità dei buoni, che non è una virtù, come si vede dai risultati: se pure questi alla fine vincono, tutto deve passare attraverso prove e tribolazioni di non poco conto, con tanto sangue versato e guerre, civili e e famigliari.
In Shakespeare tutto il vecchio ordinamento deve crollare perchè possa nascerne uno nuovo (credo che il Bardo sappia bene che ogni ordinamento, dopo un certo tempo, finirà come quello che l’ha preceduto) ma la novità è sempre “temporanea” e fragile perchè non vi è ordinamento umano che sia immutabile, essendo dipendente dal lavoro di chi lo costituisce.
Ci insegna, quindi, che sono le scelte dell’uomo, in quanto sovrano, che condizionano gli ordinamenti e solo dove l’uomo ha idea di sovranità può venirne un regno, cioè pace e prosperità per i sovrani ed il regno: ne La bisbetica domata la riottosa Kate finalmente liberata dalle ubbie isteriche può divenire partner di un uomo, con possibile soddisfazione e prosperità per entrambi.
Tornando a Jago, è inspiegato, dunque, il motivo di tanto accanimento nei confronti di Otello; si potrebbe dire, in parallelo, che è un mistero il sorgere della patologia.
Mistero significa che non c’è una causa “scientifica” ovvero non si può dire: post hoc propter hoc; è possibile un’imputazione giuridica, non una descrizione da scienza naturale.
Jago sarebbe imputabile di alto tradimento perchè il suo attacco è rivolto alla civiltà, nel rapporto uomo donna; ma il suo delitto chiama in correità sia la disgraziata Desdemona che continua a proclamare il suo amore per un uomo che non si rivela realmente come tale, sia l’ingenuo, geloso Otello che non si concepisce a sua volta come partner adeguato.
Il loro rapporto sembra essere nato da una forma di pietismo che mi ricorda il Rigoletto del conterraneo Giuseppe Verdi:
“Deh, non parlare al misero
Del suo perduto bene
Ella sentia, quell’angelo,
Pietà delle mie pene
Solo, difforme, povero,
Per compassion mi amò”.
Otello e Desdemona non sono, in partenza, partner ma innamorati (“ella m’amò pei corsi miei perigli, ed io l’amai per quella sua pietà.”) e proprio per questo prestano il fianco all’inganno del maligno Jago che ha buon gioco, trovando terreno fertile, nel minare un rapporto già compromesso in partenza.
Ma Jago rifiuta ogni imputabilità, come ben dichiara nella sua ultima battuta:
“Perdete il fiato a farmi altre domande.
Quel che sapete, sapete; ed è chiuso.
D’ora innanzi non profferirò verbo.”
La patologia, sembra dire correttamente Jago, non è indagabile o meglio, se indagata porta all’afasia: non c’è nulla da dire, se non cambiare discorso.
Jago è cosciente del male che ha compiuto, anzi si potrebbe dire che è tutto coscienza perchè la coscienza altro non è che il super io, non è amica.
Nel film vengono utilizzati alcuni pezzi degli scacchi, un espediente perfettamente adeguato a manifestare una tale idea: premeditazione, manipolazione, pianificazione, strategia, coscienza.
Bene dice Amleto:
“Ed è così che la nostra coscienza ci fa vili”: viltà ed audacia sono le facce della medaglia chiamata coscienza, un usurpatore che ha soppiantato il pensiero, opprimendolo.
Fidenza, domenica 26 febbraio 2017 , memoria del Beato Roberto Drury